Il Messaggero – I quattro ultras incastrati dagli sms

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Telefonini, profili social, mail ed sms. È una corsa contro il tempo quella degli investigatori che vogliono chiudere il caso prima dell’inizio del campionato. L’altro ieri hanno perquisito le case di quattro ultrà romanisti, coinvolti si presume nell’agguato di viale Tor di Quinto, «incastrati» dalle celle telefoniche. Sui computer e telefonini sequestrati agli indagati ci sono numeri, indirizzi virtuali, contatti, che potrebbero aiutare a ricostruire non solo quel maledetto 3 maggio quando per la finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli il «commando» decise di preparare un agguato nei confronti dei rivali partenopei, ma anche in grado di svelare l’identità di altri componenti della galassia violenta che si richiama ai colori giallorossi. Quattro ragazzi, dai 23 ai 25 anni, legati alla Curva Sud e all’ultra destra, sui cui nomi vige il più stretto riserbo per il rischio che una volta resi pubblici possano diventare bersaglio dei rivali napoletani che hanno promesso di vendicare Ciro Esposito, il ragazzo rimasto ucciso dai proiettili sparati dalla pistola calibro 7,65 tenuta in mano, secondo la Digos, da Daniele De Santis; 54 giorni di agonia con cure mediche continue, al tifoso campano, non erano bastati a salvargli la vita.

LE INTERCETTAZIONI Da tempo gli investigatori avrebbero individuato i nomi dei quattro ultrà, proprio grazie allo studio dei movimenti delle celle telefoniche agganciate dai ripetitori in viale Tor di Quinto. Ragazzi di Roma Nord dal passato burrascoso, qualcuno già finito nei guai per resistenza, tutti con la passione per svastiche e cazzotti, senza contare lo stadio, la matrice sociale che li unisce al gruppo. L’accelerata improvvisa delle indagini con la perquisizione a casa dei quattro violenti servirebbe per stringere il cerchio non solo nei loro confronti, ma anche nei confronti di altri possibili complici. Nomi che per la polizia potrebbero essere contenuti nei file sequestrati.

LA RICOSTRUZIONE Il giorno dell’agguato, quindi, De Santis non sarebbe stato solo. Altri avrebbero partecipato alla rissa. Il momento cruciale sarebbe stato quello relativo allo sparo, quando secondo alcune testimonianze De Santis avrebbe agito incitato da altri aggressori che gridavano «daje, daje, ammazzali tutti». Poi la fuga del commando verso la tangenziale, con Daniele De Santis che rimaneva a terra mentre i napoletani continuavano a pestarlo, salvato dall’intervento della polizia. A lanciare l’allarme via radio fu proprio una pattuglia in transito aggredita dai napoletani che credevano inizialmente fossero stati i poliziotti a sparare. Tanto che allo stadio, la famosa «trattativa» tra polizia e l’ultrà campano Genny «a carogna» si sarebbe sviluppata proprio sul tema che a premere il grilletto fosse, o non fosse, stato un agente.

L’AMPUTAZIONE Per De Santis, invece, ricoverato all’ospedale di Viterbo, i problemi non sono ancora finiti. Se sul fronte giudiziario l’accusa rimane quella di omicidio volontario, sul fronte medico le condizioni peggiorano. Proprio in queste ore i dottori stanno decidendo se amputare o meno la gamba per un’infezione da virus alla tibia.

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