(A) Dino Viola, un grande sogno color giallorosso

Il Corriere della Sera (L.Valdiserri) – Chiedi chi era Dino Viola. Come nella canzone degli Stadio, anche se lì si parlava dei Beatles. Perché per molti giovani Dino Viola, presidente della Roma dal 1979 al 1991, è soltanto un nome. E neppure quello corretto, perché il nome vero era Adino. E invece la figura dell’ingegnere è di sconvolgente attualità.

Ha vinto lo scudetto del 1983 e quattro Coppe Italia (1980, 1981, 1984 e 1986), ha portato la Roma alla finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool, ha fatto della sua squadra, per anni, la vera rivale della Juventus.

Il suo grande sogno, però, era un nuovo stadio di proprietà della Roma, decenni avanti agli altri. Già prima della fine del 1980 aveva illustrato al sindaco Petroselli un progetto alla Magliana. Un solo costo per la collettività: la realizzazione di una bretella di comunicazione che avrebbe collegato il raccordo anulare all’impianto, che doveva servire per più sport e per l’organizzazione di concerti ed eventi. Il finanziamento doveva venire da sponsorizzazioni, cessione in appalto delle strutture di corredo dell’impianto e vendita di abbonamenti pluriennali. Viola ci riprovò con una progetto alla Romanina, ma si scontrò con la volontà di ristrutturare l’Olimpico in vista del Mondiali di Italia ‘90. Lo stadio avrebbe dato alla Roma quella solidità che la Juventus ha trovato, molti anni dopo con il suo impianto di proprietà.

Per chiedere chi era Dino Viola – e avere qualche risposta – può essere utile un libro: «Dino Viola, La prigionia del sogno», di Manuel Fondato (edizioni Ultra Sport, 123 pagine, 14 euro). Scandita dalle date più importanti, c’è la storia della Roma che sfidò la Juventus. Le parole del presidente – il famoso «violese», ritenuto a volte incomprensibile – erano certo molto diverse da quelle del video «rubato» a Radja Nainggolan, ma allo stesso modo piene di voglia di lottare contro tutto e contro tutti. Come quelle dette dopo la sconfitta contro il Liverpool: «La Roma non ha mai pianto e non piangerà: perché piange il debole, i forti non piangono mai. Da dove ripartire? Dalla prossima partita».

Alter ego del presidente, nel libro, è il giornalista Pietro, laziale mandato dal suo direttore a seguire la Roma per evitare un cronista-tifoso. E il rapporto tra i due è proprio quello che manca spesso al calcio di oggi: il rispetto per chi ha il cuore che batte per un’altra squadra ma che sa fare bene il suo lavoro. Onestamente.

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