Diego, el pibe de Roma

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Il Messaggero (A.Angeloni) – Il ragazzo Diego si chiama Diego, perché Diego è l’argentino più famoso di sempre ed è pure fraterno amico di papà: Diego (Armando) Maradona, per la precisione. Papà Hugo Perotti detto El Mono, la scimmia, ha fatto il calciatore ad alti livelli al fianco del Pibe de oro e il figlio non poteva che chiamarlo come Maradona, perché Maradona, si sa, è meglio ’e Pelè, ed era pure per mantenere una promessa tra Hugo a Diego: «Se avrò un figlio lo chiamerò come te». Ed ecco Diego Perotti, detto el Monito, la scimmietta (che fantasia eh). Diego jr nasce sulla scia di quel mondiale del 1986, quello della mano di Dio, quello che “El Diego” ha vinto praticamente da solo. Chissà quanti sono i ragazzi nati tra l’86 e l’88 a chiamarsi così, non a caso anche a Napoli i ventisei/ventottenni di adesso sono i Diego di ieri. Perotti è un destro, il papà e Maradona mancini: Maradona, ct amico di famiglia, lo ha voluto in Nazionale (solo due presenze) e l’esordio è arrivato sostituendo Messi, un altro 10 niente male, in un’amichevole contro la Spagna. E’ passato per raccomandato, ma il talento era evidente.

PALLONE E CRISTALLI  Diego il giallorosso non sarà mai né Maradona né Messi, forse nemmeno come l’estroso papà Hugo, ma se si stacca definitivamente da quella fragilità muscolare che ha caratterizzato gran parte della sua carriera, qualche soddisfazione potrà togliersela. El Monito, dal 2011 a inizio 2014 è sempre fermo per problemi muscolari: in quel triennio mette insieme la miseria di 58 presenze, partendo spesso dalla panchina, finché non arriva il Boca Juniors che tenta di rilanciarlo prendendolo in prestito dal Siviglia. Esperimento fallito: Diego jr torna mestamente in Spagna, per poi raggiungere l’Italia, che gli apre il sorriso. Oggi deve ringraziare Sabatini, che ha provato a portarlo alla Roma per tre sessioni di mercato, riuscendoci sul gong solo nell’ultima, e soprattutto chi lo ha preso al Genoa scommettendo su di lui 350 mila euro (la cifra versata per il cartellino) nonostante i lunghi stop per le solite noie muscolari.

ESORDIO COL BOTTO  Se non vogliamo rovinarlo, evitiamo di dire dopo appena una partita la classica frase “sembra che giochi nella Roma da vent’anni”. Noi evitiamo ma senza dimenticare che l’impatto con la Roma è stato subito interessante. Al di là dell’assist per El Shaarawy, ciò che ha colpito di Diego è la personalità, al fianco di calciatori che in pratica nemmeno conosceva. Pronti via, subito a suo agio, in mezzo alle due punte, al centro dell’attacco. A volte anche sostituendosi a Pjanic in cabina di regia. I compiti di copertura sono stati assolti nel migliore dei modi, sarà che Perotti viene dalla scuola del 4-4-2 dove, facendo l’ala, per forza doveva imparare la fase difensiva. È un esterno a cui piace sfondare per vie centrali, e Spalletti gradisce il tridente con zero riferimenti. Come ai tempi di Totti, che Diego può sostituire come posizione e idee di gioco. Sempre pregando che non ritorni l’incubo di qualche anno fa quando, quello dei continui strappi, che lo stava portando a lasciare il calcio. In quel periodo era pure complicato per lui sopportare i tanti che spiegavano i continui infortuni con la vita (notturna) sregolata. Del resto se non sei Diego quello vero e se è vero che ti piacciono le donne e le discoteche, alla fine in campo stai con la lingua di fuori e qualche muscolo magari tende a saltare con una certa continuità. Ecco, quella continuità l’ha trovata a Genova e ora la ricerca qui Roma. Continuità e in campo comportamenti “giusti” per dirla alla Spalletti: ovvero nessun attacco isterico, testate, reazioni scomposte. A Genova è successo in più di un’occasione, tra l’altro nel dicembre scorso anche contro la Roma (lite con Holebas). Ora serve altro, quello visto a Sassuolo potrebbe essere sufficiente.

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