Di Bartolomei, il mio Capitano. Auguri Ago, ovunque tu sia

Pagine Romaniste (Mario Stagliano) – Chi non vi ha mai partecipato, dalla seconda metà degli anni 60, non può capire come coinvolgesse gli studenti delle scuole superiori romane il Torneo Roma Junior Club. Creato da Gilberto Viti, supportato nell’organizzazione da Esposito (mi perdonerà se non ricordo il suo nome di battesimo) vedeva la partecipazione della stragrande maggioranza degli istituti, con un agonismo, spesso, oltre misura. Proprio questo eccessivo agonismo comportava che molti degli studenti tesserati per le maggiori società, si rifiutassero di parteciparvi, per evitarsi fastidiosi infortuni. Molti, non tutti.

Capitò, infatti, al mio istituto, nella stagione ’71-’72, di superare per la prima volta la fase eliminatoria (probabilmente non era casuale il fatto che, essendo ormai iscritto all’università, la squadra non fosse più allenata da me). Le toccò in sorte, nel primo turno ad eliminazione diretta, il Pantaleoni (spero di non sbagliare istituto). Giustamente venne disposto un catenaccio per arginare lo strapotere degli avversari e lo 0-0 iniziale resse fino alla mezz’ora del secondo tempo, quando, all’ennesimo fallo commesso, l’arbitro ci fischiò contro una punizione da oltre venti metri. Il 10 avversario sistemò con scrupolo il pallone, poi fece partire un bolide che per poco non sfondò la rete. Di un tiro del genere, in Serie A, ne era proprietario Riva, non per nulla soprannominato rombo di tuono; non poteva emularlo un ragazzo di 17 anni. Eppure, proprio quel ragazzo, allo scadere, realizzò il raddoppio, sempre con la stessa potenza. Al triplice fischio, mentre i miei ex compagni di scuola erano sconsolati per il risultato, quel 10 si avvicinò loro, consolandoli e complimentandosi. In tribuna chiesi chi accidenti (il termine usato non fu esattamente quello) fosse quel tizio e qualcuno mi rispose: “Ma come, non lo conosci? Quello è Di Bartolomei, speranza della Primavera della Roma”.

Fu la prima volta che lo vidi all’opera, Agostino Di Bartolomei, il mio capitano. Perché Ago era così fin da ragazzo. Mentre altri, magari tesserati per società inferiori, non si mischiavano con quei selvaggi delle scuole, lui scendeva nell’agone. Quando essere un tesserato della Primavera della Roma poteva indurti a pensare di essere superiore agli altri, lui mostrava sempre il rispetto per l’avversario. Il tempo avrebbe confermato il valore sportivo e soprattutto umano di quel ragazzo. Il calciatore lo conoscono tutti. L’uomo era restio a concedere interviste, per una forma di pudore, cosa che venne confusa con una presunzione che, chiunque lo abbia conosciuto, afferma gli fosse totalmente estranea.

Ogni volta che mi capita di vederlo in qualche filmato d’epoca, mi vengono in mente tre episodi: le braccia al cielo dopo il gol con l’Avellino nel campionato 1982/83, il rigore contro il Dundee, calciato senza alcun tremore, ed i 55 secondi in cui ci fece vincere la Coppa dei Campioni (come mi hanno mirabilmente insegnato Tonino Cagnucci e Giuseppe Manfridi). Poi il calcio gli voltò le spalle e venne quello stramaledetto 30 maggio 1994.

Oggi avrebbe compiuto 65 anni ed alzo il mio calice per lui. Auguri Ago, ovunque tu sia.

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