De Rossi: “Mi piacerebbe un giorno allenare la Roma. Non ho sentito nessun dirigente giallorosso e nessuno mi ha chiesto nulla”

Daniele De Rossi, ex giocatore della Roma, è tornato come ospite, dopo l’apparizione di una settimana fa, a Sky Sport. Il centrocampista ha raccontato anche quella che sarà la sua carriera da allenatore. Queste le sue parole:

Come stai?

Bene. Come tutti mi sento un po’ stretto. C’è la salute quindi non posso lamentarmi, c’è gente che sta molto peggio.

Abbiamo finito la tua ultima intervista a Ostia. Tu volevi tornare ad allenare la Roma. Che percorso hai in mente per arrivarci?

Io ho fatto un percorso da calciatore più unico che raro. Non capita di giocare 20 anni nella stessa squadra, non posso pretendere di fare la stessa cosa in Serie A. Non esistono allenatori che durano così tanto, specialmente a Roma. Mi piacerebbe, ma c’è un percorso di crescita di cui c’è bisogno. Sono passato da calciatore vecchio ad allenatore giovane. Inizio a vedere le cose con più lentezza, ancora devo iniziare la mia carriera e vedo tutto con calma. Mi piacerebbe sedermi su quella panchina, può succedere tra 10, 20 anni e penso, spero che succederà. Io lo spero che sarà perché sarò un grande allenatore e non perché sono stato un grande giocatore di questa squadra.

Sei stato un grande protagonista per come parlavi dopo le partite. Ci mettevi la faccia. Sei già pronto ad essere responsabile di un gruppo?

Io inizierò questo percorso non solamente perché mi piacerebbe, ma perché penso di poterlo fare. Lo pensano un po’ tutti in Italia, ma io penso di si. Mi è sempre stato riconosciuto questo ruolo di leader, quindi sarò avvantaggiato su quel punto di vista, ma poi l’allenatore è mettere la squadra in campo, lo staff, le pressioni da solo contro tutti. Io cercavo di aiutare i miei compagni, facendo da collante, ma se l’allenatore perde è colpa tua e quando vinci sono bravi i giocatori. Gli allenatori sono sottoposti a questo e lo conosco bene.

Quali sono state le tue sensazioni nel giorno d’addio alla Roma?

Credo si sia anche visto: l’ho vissuta con grande serenità. Non ho finto nemmeno un secondo, mi sono emozionato in alcuni momenti. Ci sono stati dei momenti di vuoto, durante la partita, non perché non fosse importante. Non avevo stimoli come le partite che contano. Nei momenti di pausa, un infortunio, una sostituzione, mi giravo intorno e vedevo quella che è stata casa mia per venti anni ed ho pensato che non avrei più visto quel posto da lì dentro. Ero sereno, perché era un percorso fatto negli anni e mi sono detto mille volte di arrivarci pronto perché prima o poi arriverà. Non conta quello che hai fatto in carriera, fa male a chiunque, c’è un senso di malinconia che sentono tutti ed era importante far vedere a tutti e alla famiglia che non era una tragedia. Volevo far vedere ai tifosi che me ne andavo col sorriso perché ero felice di quello che loro mi avevano fatto diventare.

Il discorso nello spogliatoio ti è venuto di getto?

Non preparo mai niente. Inizio a pensarci un minuto prima di farlo e mi dico ‘oddio che dico adesso’. Lo dicevo sempre negli allenamenti, loro mi facevano un applauso anche per un passaggio di cinque metri. Mi dicevano ‘Grande, ci mancherai!’ Bastardi (ride, ndr). Non è il derby del cuore, non voglio sempre la palla, non è una partita di addio di quelle che organizzi contro le vecchie glorie. Voglio giocare alla mia maniera, fare qualche scivolata, ed è una partita vera. E’ finita zero a zero, triste, ma è quello che volevo io.

Hai qualche rito scaramantico prima di scendere in campo?

Ne ho avuti tanti negli anni e ne ho cambiati tanti. Non servono a niente partiamo da questo presupposto, non funzionano e quando va bene è perché va la squadra. Non ho mai cambiato solamente questa cosa, che era più un’abitudine, i tre saltelli quando eravamo tutti allineati a centrocampo. L’ho iniziato tanti anni fa per sgranchire le gambe. Lasciate stare di correre come me perché non serve a niente (ride, ndr).

Non hai scelto di abbandonare la Roma, ma hai scelto di lasciare il calcio. Hai sentito qualche dirigente della Roma?

È vero che ho scelto io di lasciare il calcio e non io di lasciare la Roma. Sono stati due momenti difficili perchè ho dovuto prendere decisioni che non avrei voluto prendere: nel primo caso ha deciso qualcun altro e la seconda volta perché era la scelta giusta per la mia famiglia, senza farne drammi o tragedie. Hanno tratto beneficio da questa cosa. Non ho parlato con dirigenti della Roma. Ho incontrato Morgan De Sanctis al Tre Fontane perché sono andato a trovare mio padre che non lo vedevo da tanto tempo eMi ha scritto un dirigente per sapere come stavo in famiglia. Non ho sentito nessuno e non mi ha chiesto nessuno nulla. Se mi conosci sai bene che non lo farò nemmeno io.

Che rapporto hai avuto con Riquelme al Boca?

Appena l’ho visto gli ho spiegato le mie situazioni subito, era giusto. Lui mi ha chiesto di restare e che volevano mettermi bene fisicamente. A parlarmi era un giocatore che era un esempio, un poeta del calcio. Mi ha fatto effetto, mi sono allenato 5 o 6 giorni con loro che mi chiedevano di rimanere. Ho dovuto dire che me ne sarei andato il giorno dopo sennò sarei rimasto per tanto tempo. Io lì stavo da dio, stavo troppo bene. Ho una nostalgia di quel posto molto forte, non solo calcistica ma del paese proprio, io e la mia famiglia la sentiamo.

Arrivano i saluti di Marchisio…

Mi fa piacere vederlo, è di una intelligenza e di una sensibilità diversa dagli altri. Si prende responsabilità sul sociale, mette bocca dove tanti calciatori non entrano. Lui ha gli attributi e la pulizia intellettuale per farlo. Lo incontrai in un Roma-Empoli, c’erano lui e Giovinco e ci misero in grande difficoltà. Lui ha vinto tantissimo, era incredibile. Ha giocato anche davanti alla difesa ed era tagliato per quel ruolo, ma ha avuto due o tre infortuni. Marchisio era incredibile, di giocatori come lui si fatica a trovarne, ma ne stanno uscendo un po’ in questi ultimi anni.

Quanto è stata fondamentale Sarah in tutto il tuo percorso?

Lei ha solamente un difetto: è molto più social di me. Ogni tanto mi giro e sono ripreso. Dal punto di vista umano è stata fondamentale. Non voglio dire qualcosa di molto banale. Non trovi un calciatore che viene in tv e dice che è una zavorra. Mi ha migliorato molto, il mio umore, la mia serenità e della famiglia, creandone una allargata. È stata fondamentale perché mi ha detto di decidere e che mi avrebbe seguito. Ogni tanto usciva qualche destinazione che le piaceva di più ed altre meno. Ha accettato di venire in Argentina, serena, e se ne è innamorata prima di me. La ringrazio per non avermi il muso quando ce ne siamo andati. Lei era dispiaciuta di andare via perché aveva creato una sorta di nuova famiglia. Quando dico che ho fatto fatica a lasciare l’Argentina parlo di questo. C’era la Casa di Carta ed abbiamo sentito due parole prettamente argentine, ci siamo guardati e abbiamo detto ‘Quando ci manca’. C’è entrato nel cuore. Non ha detto una parola, mi ha seguito.

Perché Boca e non River?

L’ho scelto da ragazzino io perché vedevo i video da piccolo delle tifoserie che mi entusiasmavano, per Maradona. Poi tutto verso la tifoseria. Tutti la conoscono, ma nessuno la conosce. Se vai lì e ti rendi conto che non sarà il più grande, ma quello che da più amore è il Boca.

Che esperienza è stata? Cosa hai visto di diverso rispetto a quello che ti aspettavi?

Ho imparato tantissimo, mi sono ancor più reso conto di quanto talento, senza organizzazione vada sprecato. Organizzare per farli suonare insieme, altrimenti è confusione. Riuscire a far coesistere questi giocatori meravigliosi, i mancini che prendono palla, i ruvidi ma continui e tecnici. Farli coesistere è difficile, Gallardo ci è riuscito: ha giocatori forti e riesce a creare quello. Se ci riesce l’Argentina come Nazionale cambia le sorti del calcio mondiale.

Quanto è stato importante Lippi per te nei Mondiali?

Lippi fu davvero importante per quella Nazionale. In attacco c’erano giocatori mostruosi, non eravamo i più talentuosi, c’erano squadre più forte. Siamo stati grandi lottatori, noi non ci credevamo, ma lui ha creato un Club, un rapporto tra noi come in una squadra. E’ riuscito a creare un gruppo di amici, poi l’ha gestita a livello tecnico e tattico. E’ partita con la pressione di quello che era successo poco prima. Quel trionfo, senza quei 60 minuti più rigore, l’avrei rovinato con la gomitata. Ho sempre sentito la sua fiducia, anche dopo la gomitata e dopo l’espulsione. Lo sapevo che mi avrebbe buttato dentro. Tre giorni prima della finale Peruzzi mi ha detto che voleva farmi giocare dall’inizio e mi ha detto di prepararmi per giocare. Così è stato, è andato tutto bene e rimane un ricordo memorabile della mia carriera calcistica.

Che pensi di Heinze?

Me lo hanno detto che era molto interessante. In Argentina ho avuto l’opportunità di vedere molte partite. E’ molto bravo, aveva giocatori interessanti al Velez. Ora è andato via, non so cosa farà, ma anche parlando con un direttore sportivo italiano si sa che è bravo. Spero che si apriranno le porte del calcio italiano. Lo stesso Crespo mi ha impressionato con il Banfield, ci ha messo in difficoltà.

Quali sono i primi appuntamenti che hai in agenda?

Avrò bisogno di sentire tutti, di andare a vedere tutti. C’è un proverbio africano che dice che un bambino in piedi vede meno di un vecchio seduto. Sono un bambino e penso che chi si affaccia a questa professione deve partire dal migliore di tutti. Io credo che sia Guardiola, partirei da lui. Ci sono tanti allenatori bravi in Italia: Gattuso, De Zerbi. Tanti forti e diversi da questi che ho citato. Saranno dei viaggi professionali ma anche di divertimento. Voglio provare anche altri allenatori, voglio contattare Pozzecco, perché ha un rapporto con i calciatori di basket incredibile.

Come sei riuscito a mimetizzarti nel giorno del Derby?

E’ nata come una battuta con gli amici. Avevo voglia di andare in Curva, ma non volevo essere preso in braccio tipo eroe. Volevo passare in sordina. Volevo andare a Firenze, ma la Roma veniva da una serie di vittorie e non volevo rovinarle. Un ragazzo mi ha riconosciuto e lo ringrazio di non aver detto nulla. E’ stata una grande emozione.

L’addio a Trigoria è stato il giorno più triste?

Non è stato capito bene. E’ stato il giorno più difficile della mia carriera, ma non significa che non è stato lasciare la Roma, ma chiudere la porta per l’ultima volta. E’ stato difficile perché non ci rientrerò più, ho cambiato diverse case ed è il posto dove ho dormito di più. Si sopravvive, ma è stata una bella botta. Mi hanno tremato le mani.

Qual è la difficoltà principale che ti aspetti?

Ne incontrerò tante e mi aiuto pensando già che ci saranno. Non so cosa so fare. Organizzare il pre campionato, lo staff. E’ facile prendere centrocampisti da compagni e spiegargli come devono mettersi. Inizierò da un punto più basso rispetto al solito, mi adatterò.

Come giudichi il livello del nostro calcio rispetto alle nuove proposte tecnico-tattiche degli allenatori?

Ho citato allenatori propositivi, ma imparerò anche da quelli più pragmatici. Ci sarà spettacolo nei prossimi anni, le squadre che prima si mettevano in 11 in area e menavano dal primo al novantesimo. Guardiola per me ha cambiato la concezione, il pericolo è abusarne quando la squadra non ne è all’altezza. Ne avrei potuti citare altri, come Fonseca. Sono andato a complimentarmi con lui dopo Roma-Shakthar perché ci hanno messo in difficoltà.

Da chi rubiamo qualcosa degli allenatori che hai avuto a Roma?

Non voglio dare risposte paracule, perché devo farlo da tutti. Anche cercando di non ripetere errori gravi. Spalletti e Luis Enrique, sono bravi. Sono tranquillo io, ma con il gruppo un po’ di Capello non guasta mai, specialmente con i giovani.

Quale soprannome ti ha pesato di più?

Da ragazzino avevo una scodella in testa. Chi ha fatto la domanda è di Ostia sicuro. Nino era Nino D’Angelo. L’altro era Capitan Futuro, per cui ormai ci ho fatto l’abitudine.

Come ti stai muovendo per il tuo futuro?

Sono in standby. Non penso troppo ora, ho grande voglia e fretta di fare questo lavoro. Mi sento circondato da un alone di tristezza e andare lì a pensare quando sarà il corso o che squadra potrò allenare mi sembra ridicolo.

Com’è stato il tuo primo giorno al Boca?

Abbiamo fatto una partitella, alla Roma i giovani tendono a levare il piede contro la prima squadra. Mi ha tirato una sassata un giovane del Boca, che era un toro. Poi da lì ho iniziato pure io, tutto fangoso ed era uno spettacolo.

Bonucci: “Ci sono ricordi bellissimi tra noi e c’è un grande rapporto d’amicizia. Ti ricordi nel 2016 quando ti ho tirato una scarpetta? Raccontalo vai”…

Parliamo di un ragazzo che tutti gli amici di Roma che mi conoscono mi dicono che è antipatico. C’è una percezione di Leo che è totalmente sbagliata. Padre e amico perfetto. Mi dispiace che sembri così antipatico, lo è in campo ed è frutto anche della maglia che indossa. L’episodio del Mondiale è uno di quelli da prova tv, tutte cose mie. Anche quando scherziamo tra di noi: mi ha tirato uno scarpino e mi ha preso sotto l’occhio. Mi hanno dovuto fermare perché ero partito. Con lui ho legato particolarmente, è uno delle vittime dei miei scherzi preferiti. Abbiamo passato grandi momenti insieme.

Hai un rammarico per la tua carriera?

Non aver vinto qualcosa di strappalacrime alla Roma. Ieri ho visto uno speciale di Di Bartolomei, mi manca tanto lo scudetto. Vengo a volte tacciato di avere poca ambizione. Io ho avuto l’ambizione di vincere dove non succede mai. Io mi sento in pace con la testa e c’è un po’ di rammarico. Sono molto contento per la carriera, mi dispiace non aver avuto la gioia di un trofeo.

Hai fatto qualche pensiero sul calcio inglese? In quale squadra ti saresti visto di più?

Da quando sono piccolo amavo lo United. Il Boca era proprio un mio desiderio.

Pozzecco ti ha risposto in un video: “Hai espresso il desiderio di vedere un mio allenamento. Potresti prendere spunti negativi (ride, ndr). Le porte sono aperte, speriamo che ciò accada presto. Ti mando un abbraccio”…

Beh, che dire. Sono un appassionato di tutti gli sport. Mi è sempre piaciuto vederlo, anche quando perdeva la testa. Sta facendo grandi cose e i suoi calciatori lo adorano. Devo vedere come interagisce con i suoi giocatori. E’ bello scatenato in panchina.

Che cosa ci lascerà un momento del genere? Che tipo di uomini usciremo?

Lo faremo e porteremo via da questo momento cose positive se riusciremo a remare dalla stessa parte. Dobbiamo stare sulla stessa barca, non abbiamo vissuto tutti le stesse cose, come nord e sud. Il popolo può sollevarsi e Balotelli disse una cosa molto intelligenti, prima di politici e governatori. Lui ha detto che ha una madre anziana, non vuole attaccargli nulla e quindi vuole stare a casa. Normalità assoluta. Poi politici, medici e scienziati devono parlare di altro. Noi abbiamo la pelle dura.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

I più letti