De Rossi: “Visto? Lucho non era così scemo”

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Il Messaggero (S.Carina) – Il ricordo del Bayern Monaco, gli ronza ancora nella testa. Stavolta De Rossi evita proclami («Siamo forti come loro, forse anche di più») come fece un anno fa alla vigilia della gara contro i tedeschi: «Ci giocheremo una parte della qualificazione consapevoli che sarà una partita importante, ma non decisiva. Dovremo stare molto attenti, essere ordinati, fare una grandissima gara di sacrificio. Il Barcellona oltre ad essere la squadra più forte di tutte come organico, collettivo e gioco, ha anche il giocatore più forte di tutti, Messi. Ci sarà bisogno di tanta compattezza di squadra». Stasera incrocerà Mascherano: «Io come lui? È un percorso che potrebbe appartenermi in futuro».

NO AGLI APPELLI – Lucido sullo sciopero del tifo in Curva Sud per la divisione del settore: «Certe cose sembrano un po’ assurde ma magari dietro c’è una ragione. Sto cercando di documentarmi. Di appelli però non ne faccio perché quando una protesta è così civile deve anche continuare ed essere rispettata. È logico che a noi fa piacere avere uno stadio pieno di bandiere e di gente che canta, ma con la Juve siamo riusciti a vincere anche senza cori». Misurato, concentrato, non scivola nemmeno quando gli ricordano l’ultima espulsione in azzurro: «Ho letto poco, so quello a cui vado incontro quando faccio queste cose. Ma ho visto anche statistiche interessanti come i cartellini rossi presi sia con la Roma che in nazionale. Lo ripeto, a volte mi si annebbia la vista ma rientro nella media. Forse, nella media, non sempre rientrano le prove tv e… forse sconto anche quelle».

LA DOMANDA CLOU – Inevitabile la domanda su Luis Enrique: «Sbagliato non aspettarlo? Non lo so. È lui che si è dimesso. Non possiamo dare colpe al club o all’ambiente. C’è stata poca sponsorizzazione da parte vostra perché evidentemente non avevate interesse a farlo – spiega rivolgendosi ai media –Altrove è riuscito a dimostrare che non era uno scemo come lo facevate passare. Mi ha fatto piacere per lui e perché non ero matto a vedere determinate cose». Sarebbe stato utile chiedergli a quale«interesse» si riferisse. Purtroppo il nuovo modo di interagire con tecnici e atleti in sala stampa, non permette più di avere un contraddittorio con gli stessi.

E così vien da pensare che forse il triplete blaugrana dello scorso anno ha offuscato nei ricordi di Daniele le goleade subite contro Cagliari, Atalanta e Lecce (con gli allenatori avversari che invitavano a non infierire ulteriormente); il suo volto a dir poco corrucciato in tribuna a Bergamo dopo esser stato escluso dalla gara per un paio di minuti di ritardo alla riunione tecnica; le sconfitte inermi con Siena e Juventus (bissata, quest’ultima, anche in coppa Italia); l’eliminazione dai gironi preliminari di Europa League per mano dello Slovan Bratislava dello sconosciuto Stepanovsky; i due derby persi nella stessa stagione (non accadeva da 14 anni), con la Curva Nord ad inneggiare nel fine gara del 4 marzo 2012 «Lucho, Lucho!».

Nella sua avventura romana (abbandonata, come ha ricordato De Rossi, per scelta personale), Luis Enrique semplicemente non era pronto. Non è un caso che dopo l’anno sabbatico, sia ripartito dal Celta Vigo (finendo nono) prima di vedersi affidato il Barcellona dei marziani Messi-Suarez-Neymar (tridente da 122 gol nella passata stagione, 27 delle 30 reti servite per vincere la Champions) con il quale, chapeau, ha vinto tutto.

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