Dal Real al Real è la notte di Dzeko: «Pronto alla sfida»

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La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – È una storia di cani e gatti, o forse più semplicemente di desideri irrealizzati. Intendiamoci bene, niente drammi. Con la vita avventurosa che ha avuto, siamo convinti che Edin Dzeko non si guardi troppo alle spalle. Guerra, paura e sacrifici, in fondo, non invogliano ad avere troppi rimpianti del passato e così persino un futuro mai avveratosi al Real Madrid non instilla ormai troppe malinconie.

LA CORTE DI MOU – Però nel gennaio 2011 la carriera del centravanti bosniaco poteva prendere un altro corso. Sulla panchina delle «merengues» sedeva – anzi, imperava – Josè Mourinho che in quel frangente si ritrovò senza il «suo» vero centravanti di ruolo, ovvero Gonzalo Higuain, che di lì a poco si sarebbe addirittura operato a Chicago. Fu così che l’allenatore portoghese, che in quel momento non stravedeva per Benzema come punta centrale, coniò una delle frasi che in Spagna sono rimaste indelebili. «Quando vai a caccia con un cane, hai buone possibilità di successo; se ci vai con un gatto, cacci lo stesso ma il risultato non sarà lo stesso». Morale: una neppure tanto implicita richiesta di avere un altro centravanti che potesse sostituire l’argentino. E l’obiettivo era chiaro, Dzeko, che in quel periodo stava per lasciare il Wolfsburg. Florentino Perez però in quell’occasione non se la sentì di aprire di nuovo il portafoglio e così il bosniaco approdò al Manchester City e Mourinho si dovette accontentare della meteora Adebayor.

PER UNA – Sfumata la possibilità, adesso per Edin il Real è solo una splendida avversaria, a cui segnare magari per dedicare il primo gol europeo (dopo quello in campionato al Carpi) alla figlia Una, nata da pochissime settimane. D’altronde il bottino in Champions di Dzeko in giallorosso è stato migliore di quello fin qui abbastanza deludente del campionato. In Europa infatti, durante questa stagione, il centravanti ha segnato 2 gol in 4 partite giocate da titolare (in una è subentrato nei minuti finali). Entrambe le reti, poi, sono arrivate su azione: la prima contro il Barcellona (ma era solo quella della bandiera che sanciva il 6-1 finale), la seconda invece contro il Bayer Leverkusen in casa, nella partita (vinta dai giallorossi 3-2) che aveva tutti i crismi della sfida spareggio.

IDEA PEROTTI – Una cosa è certa: con l’arrivo di Spalletti l’attaccante non ha perso la sua centralità nello scacchiere romanista, visto che il nuovo allenatore non ha perso l’occasione per difenderlo e sottolineare come, se Dzeko non segnava, era solo perché non era servito nel modo migliore dai compagni. Adesso il gol su azione è tornato, tra l’altro fondamentale per scardinare la partita contro il Carpi che si stava avviando verso un malinconico pareggio. L’entusiasmo dei compagni per la sua rete è stato enorme, quasi capissero il senso di liberazione che c’era dietro quella realizzazione apparentemente banale. Adesso a Trigoria lo raccontano molto carico. «Sono pronto per questa sfida», dice agli amici più cari. A stopparlo, in fondo, potrebbe esserci solo una cosa, l’impiego al suo posto di Perotti come «falso nove» per non dare punti di riferimento alla difesa avversaria, ma a favore del bosniaco giocano anche altri due elementi: la capacità di far salire la squadra e far respirare la difesa nei momenti più difficili, e l’abilità nel gioco aereo per cercare di contenere i difensori avversari che andranno a saltare nell’area giallorossa. Abbastanza per porre una seria ipoteca sul posto da titolare e, soprattutto, sulla voglia di protagonismo nella partita. E chissà che alla fine il Real – ripensando a quella «querelle» tra cani e gatti – non si penta di essersi fatto sfuggire un leone.

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