La Stampa – Cori antisemiti dalla Curva Nord, impunito il razzismo da derby

Iprimi, due, cori («…giallorosso ebreo…») partono dalla curva Nord quando al fischio d’inizio del derby capitolino mancano ancora due ore. Il terzo (stesso copione) prende in ostaggio l’Olimpico mentre Lazio e Roma scaldano i muscoli. A macchiare una sfida cittadina intensa e nervosa, ma senza incidenti, è la deriva antisemita di una minoranza non silenziosa. La Comunità ebraica della Capitale insorge e, stavolta, non intende frenare: allo studio ci sono già una serie di azioni o riflessioni da mettere in campo perché, dicono, «il limite è superato e non da domenica sera…».

(…) L’Olimpico di Roma torna prepotentemente sotto i riflettori e il campo non c’entra. Non c’entra nemmeno la Lazio perché, fanno sapere dalla Comunità ebraica, il suo presidente è sempre in prima fila nel denunciare episodi di intolleranza. E non può nemmeno entrarci in questo caso la giustizia sportiva che, ieri, ha multato la squadra laziale di 20 mila euro perché «i suoi tifosi usavano ripetutamente un fascio di luce laser sugli occhi di alcuni giocatori avversari» perché i cori non hanno attraversato lo stadio durante la partita, ma prima. Le norme della Figc parlano chiaro e devono essere in linea con quelle emanate in materia dal Viminale che affida al solo responsabile dell’ordine pubblico l’eventuale opzione di sospendere la partita davanti a fatti discriminatori. Roma e il suo stadio tornano a far discutere.

L’impatto dei cori nel giorno della commemorazione della deportazione degli ebrei romani (16 ottobre del ‘43) è forte e scuote le coscienze. Il 29 novembre di tredici anni fa a scuotere l’Italia intera fu uno spettacolo a dir poco folle offerto dalle due curve prima del derby. Lazio e Roma finirono a processo (sportivo) e la politica si mise in moto contro l’allarme razzismo dopo l’esposizione di striscioni con la scritta testuale «Auschwitz la vostra patria, i forni la vostra casa…» nella curva laziale e altri, sempre antisemiti, in quella romanista. Il rapporto fra il calcio capitolino e tutto ciò che con il mondo del pallone non ha niente a che vedere è sempre stato al limite del punto di non ritorno. I cori di domenica sera hanno portato alla sollevazione una Comunità ebraica che non vuole più tapparsi gli occhi per evitare che i segnali di risveglio di certi atteggiamenti possano provocare una situazione sempre più avvitata su se stessa. (…)
La Stampa – Guglielmo Buccheri

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