Gazzetta dello Sport – Borini allontana Borriello da Roma

La domanda sorge spontanea: nel mercato dell’immobilismo e degli affari low cost, in cui le squadre fanno fatica anche solo ad avvicinare la mano al portafogli, chi può permettersi un ingaggio come quello di Marco Borriello? Nessuno: 16,2 milioni lordi per i prossimi tre anni sono un’enormità e, nonostante lo scudetto vinto con la Juventus, Borriello (che lo ha vissuto da riserva) si è svalutato e non ha lo stesso appeal di un anno fa. Motivo, questo, per cui Borriello andrà a Riscone a faticare, in attesa che il mercato si evolva e, chissà, la Roma abbassi le pretese (vorrebbe ricavarci almeno la metà dei 10 milioni pagati un anno fa al Milan) o lo stesso Borriello decida di ridursi lo stipendio per andare a giocare.
Concorrenza Per la Roma, a oggi, non può che essere considerato un peso, l’unico rimasto sul groppone dopo che il sobrio Cicinho — ieri il brasiliano ha firmato con lo Sport Recife — ha visto scadere un contratto da due milioni netti all’anno. Borriello è chiuso da Totti, Lamela, Bojan e, ora anche da Borini, con le buste che consegneranno nelle mani di Zeman un giocatore già capace di essere decisivo e adesso anche cresciuto e responsabilizzato dall’esperienza all’Europeo. Il tutto, aspettando di capire cosa si vorrà fare di Osvaldo, che la Roma non può permettersi di tener fuori vista la spesa enorme (per qualcuno folle) di un anno fa.
I metodi di allenamento di Zeman non sembrano fare al caso di Borriello, che potrà comunque sfruttare i gradoni per tornare in forma — a Torino era sembrato piuttosto sovrappeso, a sua detta per colpa della preparazione di Luis Enrique —, ma il modulo paradossalmente sì. È proprio il 4-3-3 del boemo, con la conseguente necessità di un ariete, l’unica ancora di salvataggio: e se Borriello si mettesse in testa di convincere Zeman? I discorsi sull’ingaggio esagerato morirebbero. Decisissimo Non ha tre anni di contratto, e nemmeno un ingaggio da 2,7 milioni netti a stagione. In comune con Borriello, però, due cose David Pizarro ce le ha: la scarsa considerazione di Luis Enrique e il fatto di aver vinto uno scudetto anche se non da protagonista.
Sei mesi al City, vissuti anche con nostalgia, e la voglia di non lasciare Roma, almeno fino alla scadenza del contratto (2013): motivo per cui Pizarro ha rifiutato le proposte di Fiorentina — avrebbe ritrovato Montella — e quella economicamente allettante (sei milioni in due anni) dei cinesi dello Shanghai Shenhua, la squadra di Anelka e ora anche di Drogba.
Altri ritmi «Il mio presente è a Roma — ha ripetuto nei giorni scorsi Pizarro dal Cile —. Tornerò a casa, ma solo dopo la fine del contratto. E a Roma nascerà il mio terzo figlio». Già, ma che presente sarà? Con Luis Enrique, Pizarro è finito ai margini perché troppo innamorato del pallone, con Spalletti e Montella era un insostituibile, proprio per la sua capacità di congelare la palla e dettare i tempi a suo piacimento.
Difficile che Zeman, convinto com’è che il pallone debba andare a mille, possa innamorarsi di Pizarro, ma è anche vero che il Pek verticalizza come pochi e che, De Rossi a parte, l’unico regista di ruolo è Viviani, che quando è stato chiamato in causa da Luis Enrique si è dimostrato acerbo. D’accordo, tra 12 mesi Pizarro tornerà in Cile: tanto vale dargli un senso a quest’ultimo anno. Sarà pure il mercato dell’avarizia, ma un po’ di generosità in campo non guasta.

Gazzetta dello Sport – Marco Calabresi

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