Bocciatura di un gruppo troppo fragile, la Roma ha già in testa la rifondazione

La Repubblica (M.Pinci) – Se fino a qualche settimana fa Barcellona somigliava a un piacevole imprevisto sulla strada di una stagione soddisfacente, oggi il gala con il Barcellona in programma all’Olimpico per la Roma è quasi un fastidioso contrattempo in una stagione che rischia di complicarsi. Perché da sabato sera qualcosa è cambiato. La sesta sconfitta in casa ha fatto crollare le attenuanti che spesso Trigoria ha offerto alla squadra. Mettendo l’accento sulla capacità inguaribile di ricadere in errori sciocchi. «Così non si vince»: questo si sono detti i vertici del club a caldo, dopo la partita contro la Fiorentina. Non che si possa cambiare in tempo per ribaltare l’esito sostanzialmente segnato del confronto con Messi, dopo l’1-4 incassato al Camp Nou, nonostante l’ottimismo di Di FrancescoPerché non credere a qualcosa d’impensabile?»). Ma aprile è il mese in cui mettere in ordine i pensieri per porre rimedio ai problemi.

Voglia di cambiare: questo trasmette la Roma. E per cambiare il dna della squadra servirà anche vendere, per rinnovare i leader: Manolas, Nainggolan, Strootman, Florenzi sono lì da anni. Anni in cui la Roma non solo non ha vinto, ma non ha mai dato l’impressione di poterlo fare. E anche nei fatti – vedi il caso social a Capodanno – o a parole (rimpiangendo campioni ceduti) non è che tutti abbiano brillato. Allora, perché non cercare altre strade? Qualche nome segnato in rosso per sostituire quei profili sull’agenda di Monchi c’è già: il marocchino Ziyech dell’Ajax e il costosissimo compagno De Ligt (ma lo segue il Barça), l’uruguaiano della Samp Torreira, Barella del Cagliari, il turco Söyüncü. A cui aggiungere dei leader in stile Kolarov: gente che possa portare un approccio differente. Oggi la Roma è fragile di testa: conosce a memoria il copione, ma non sa andare oltre l’interpretazione accademica. Rinunciando alla naturalezza del gesto, annodandosi in ricerche grottesche di trame anziché innescare reazioni, anche rabbiose.

Insomma, il carattere che ha consentito al Napoli di spuntarla al 93’ contro il Chievo o alla Juve con la Lazio, la Roma lo rintraccia molto occasionalmente: problema di testa, l’idea dei capi struttura, e si è convinto anche Pallotta – stasera all’Olimpico per vedere da vicino Messi e farsi un’idea più rotonda della sua Roma, assistito dal grande Sir Alex Ferguson – che la spiegazione della “sfortuna” non convinca più. «Quella cattiveria che a volte non metti in allenamento poi la riporti tale e quale in partita, contro Barcellona e Fiorentina siamo mancati proprio sotto quel profilo, quello del cinismo, e non lo puoi mica comprare al supermercato», ammetteva ieri Di Francesco. Ma chi se non l’allenatore deve trovare il modo di entrare nella testa dei calciatori? Arrivare almeno quarto metterebbe il tecnico in una posizione di forza, complice il traguardo dei quarti in Europa, molto più ambizioso di qualunque aspettativa. Senza il pass per la prossima Champions, però, quei black out casalinghi diventerebbero l’elemento su cui costruire riflessioni più profonde. Dall’esito non esattamente imprevedibile.

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