Berdini: «Lo Stato sostenga la ripresa di Roma ma concordi i contributi con il Comune»

Corriere Della Sera (P.Berdini) – La scorsa settimana in un decreto economico governativo è stato approvato un finanziamento inusuale per Roma (2,6 miliardi) destinato al potenziamento del già esistente comando militare italiano nelle aree pubbliche di Centocelle. Ma oltre alla dimensione economica, il provvedimento segna anche un’altra discontinuità: l’ultimo intervento in cui lo Stato si era interessato della sua Capitale era stato nel 2001 quando il ministro Tremonti inventò la stagione della «valorizzazione immobiliare» dismettendo la sede del ministero delle Finanze dell’Eur, uno dei rari edifici pubblici serviti dalla metropolitana. Sono 15 anni che paghiamo affitti ai soliti noti: una spesa di almeno 100 milioni sottratti agli indispensabili investimenti sociali o di sostegno all’economia. Nel caso di Centocelle ci sono alcune questioni decisive per la vita della capitale che devono essere chiarite al più presto se non vogliamo perdere anche questa importante occasione per rimettere in piedi una città in declino: quando lo Stato con la s maiuscola interviene nelle sua capitale lo fa con la necessaria lungimiranza e costruisce prima le infrastruttura fondamentali. Il progetto Parigi 2030 si basa su una visione complessiva dell’amministrazione centrale e, in modo analogo, questo atteggiamento vale per Londra. Da noi il progetto parte solo con un comma e sono almeno cinque i punti decisivi che occorre chiarire al più presto. L’area del vecchio aeroporto di Centocelle è lambita da due linee metropolitane («A» e «C») ma il quartiere soffre di un ritardo infrastrutturale grave quanto la sua elevata densità abitativa. Dieci anni fa un comitato di cittadini raccolse 12 mila firme per chiedere la realizzazione della tramvia lungo via Palmiro Togliatti così da collegare il nodo di Anagnina con i quartieri settentrionali della città. Non c’erano i soldi, rispose il Comune. Oggi ci sono e quell’opera deve essere messa in cantiere immediatamente anche perché esiste un progetto di massima approvato da anni e chiuso in un cassetto.

Secondo. Intorno all’insediamento militare di Centocelle, c’è uno dei pochi parchi degni per dimensione di questo nome in periferia. Come tutti gli altri versa in uno stato miserevole e appena qualche mese fa è stato addirittura temporaneamente chiuso perché mancava la sicurezza perla fruizione dei cittadini. Anche qui, allora, è prioritario l’intervento per consegnare alla città un parco degno di questo nome: una periferia verde che combatte contro il riscaldamento climatico. Terzo. E’ noto a tutti che in molte aree marginali del parco esiste il più imponente sistema di rottamatori di auto di Roma. Inquinano e praticano un inaccettabile commercio sotto le abitazioni di famiglie: non è proprio quello il volto della capitale che vogliamo. Nel lontano 1997 fu redatto il censimento delle decine di attività e previsto il loro trasferimento nell’area produttiva pubblica del Consorzio industriale di Santa Palomba. E’ passata una generazione e tutto è ancora fermo: ora lo Stato deve contribuire al miracolo. Ancora il tema del consumo di suolo.

E’ del tutto scontato che le nuove costruzioni non dovranno invadere le aree del parco, ma si deve sperimentare anche – vista la presenza di molti vecchi capannoni e magazzini – un progetto di sostituzione che non preveda la impermeabilizzazione di un metro quadro di terreno. Infine il tema più difficile e insieme affascinante. Una parte degli storici edifici di via XX Settembre verranno – almeno parzialmente – liberati: deve dunque essere posta all’attenzione della città la questione del loro riuso. E’ noto a tutti che il grave degrado di cui ha parlato giorni fa su queste pagine Vittorio Emiliani deriva dallo svuotamento residenziale del centro storico ormai preda del turismo mordi e fuggi. Il riuso dei contenitori pubblici è dunque decisivo e sarebbe inaccettabile continuare con la politica della svendita del patrimonio pubblico praticata fin qui, come nel caso delle torri dell’Eur. Insomma, se lo Stato aprisse la discussione sul futuro di Roma in chiave di collaborazione istituzionale e chiarezza condivisa degli obiettivi darebbe un grande segnale di speranza ad una città ripiegata su se stessa.

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