Benatia, il pistolero che spara al passato

La Stampa (G.Zonca) – Chissà se Benatia spara al passato quando festeggia i gol, avrebbe due o tre ricordi da mitragliare: scartato e reintegrato così tante volte che ormai non si spaventa più quando deve partire dalle retrovie. È successo anche quest’anno, non proprio nel cuore dei piani di Allegri a inizio stagione, vitale nelle ultime otto partite giocate: ha saltato solo la Coppa Italia e segnato due gol, il tutto dopo la qualificazione del Marocco ai Mondiali ed è la prima volta che si allineano i pianeti nella carriera di questo difensore duttile e schivo che si sfoga soprattutto dopo i gol. A Udine lo chiamavano Benegol, a Roma si è messo a sparare e non ha avuto problemi a ribadire il gesto davanti agli ex: «Batterli era importante, con una mia rete è ancora meglio. Avrei fatto fallo con un blocco? Onestamente non credo». E si è visto dal numero dei colpi mimati. Del resto, con i giallorossi non era stato proprio un addio tranquillo. In Germania gli avevano proibito di festeggiare così, e non era una brutta idea, ma questo è il suo marchio e se lo è ripreso. Sarebbe da archiviare per cattivo gusto solo che Benatia è abituato a difendere scelte criticate.

DISTRAZIONE NEL FINALE Ha rimesso a posto gli schemi della Juve che con lui non solo non ha più perso ma ha pure ritrovato la solidità perduta. Elogiato, applaudito, votato dai tifosi giocatore del mese, incassa cauto. Si distrae sul finale della sfida che può essere una svolta, però dopo il gol, dopo gli spari, si sente in estasi. Si lascia travolgere da Pjanic, un amico, un transfugo come lui e come Szczesny, decisivo in questa partita costruita dai bianconeri per essere demolita subito. Benatia ci mette il lavoro richiesto: l’attenzione, il ritmo, l’insistenza, pure su quel tiro rimpallato all’infinito prima di entrare in porta. L’uomo giusto al posto giusto, una combinazione per lui non troppo frequente.

INCATTIVITO DALLA BANLIEUE – Giusto lo è sempre stato, però spesso nel posto più che sbagliato. Cacciato dall’accademia del calcio francese per una rissa che di certo gli ha insegnato a gestire l’inquietudine e lo ha bollato in patria. Quella di adozione almeno che lo ha considerato l’ennesimo talento incattivito dalle banlieue e lo ha accantonato in fretta. Lui ha scelto la nazione del padre, il Marocco, anche se ormai non parla neanche con lui, questioni private con cui ha fatto i conti. Arginato dagli infortuni, costretto spesso alla strada più lunga, anche stavolta ha trovato spazio e fiducia sulla distanza. In questo finale di 2017 gli gira tutto bene: è il capitano di una Nazionale ambiziosa, è il perno di una Juve ritrovata. Come lui e pure grazie a lui.

COMPLIMENTI AL PORTIERECon la Roma si annebbia solo dopo 80 minuti, un attimo di buio in cui Florenzi potrebbe fare male e invece la palla si ferma sulla traversa e un errore che lascia a Schick il tiro della partita: «Per fortuna Szczesny è stato fenomenale, la mia esitazione ci poteva costare tanto. Invece siamo ancora la squadra da battere». Il suo gol pesa davvero. Nel giorno in cui l’Inter mostra tutta la sua fragilità, lui piega la Roma. La colpisce a ripetizione. Forse quando riuscirà a prendere le distanze dalle incertezze del passato e si sentirà tranquillo, importante, centrale nel progetto della squadra, continuo, sarà in pace e poserà il mitra.

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