Balbo: “Sensi è stato un padre per me. Fonseca? Abbiamo fatto grandi cose e dato tanto alla squadra. Mazzone? Meritava un trofeo con la Roma, è tifosissimo. Giannini? Capitano straordinario. Totti? Si vedeva che sarebbe diventato un campione assoluto. Zeman? Avrebbe meritato di più. Maradona? Un artista, vinceva da solo. Batistuta? Aiutai Baldini a prenderlo”

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Abel Balbo, ex attaccante della Roma, è il protagonista con il consueto appuntamento settimanale con Slideshow, programma in onda su Roma Tv. Queste le parole del bomber argentino:

Foto da bambino.
“Era la squadra del paese, giocavamo in tornei giovanili. Facevo il capitano, avrò avuto 8-9 anni. Vincevamo sempre”.

Foto delle giovanili del Newell’s Old Boys.
“Qui sono diventato professionista, accanto a me ho un mio compagno che non è arrivato in Prima Squadra. Molto giovani noi, molto vecchie le foto”.

Col River Plate.
“Un anno importante, ero giovane, in una squadra forte, con una tifoseria enorme. È stato un periodo importante, stavo facendo il salto”.

A Udine.
“Nel 1989, quando sono arrivato. Un passaggio importante in carriera, arrivare in Italia era difficile perché c’era spazio solo per tre stranieri, farlo così giovane è stato importante e mi ha ripiegato per i sacrifici fatti”.

Foto di squadra a Roma.
“Anno 1993. Un’ottima squadra, che ha reso meno di quel che poteva. Si iniziava una ricostruzione, si veniva dal periodo di Ciarrapico, quando la società era quasi fallita e Sensi la salvò. Eravamo indietro rispetto alle altre. Passare da una piccola a una grande squadra non era una novità, ero più maturo e preparato, giocavo in nazionale. Ero abituato alle pressioni e a dover prendermi responsabilità”

Franco Sensi.
“Il mio presidente, è stato un padre per me, fui il suo primo acquisto. Un aneddoto: lui e Rosella mi aiutarono con la casa, con le carte. Ha dato tutto per questa società, l’anno che abbiamo vinto lo scudetto sono stato molto contento per lui, quando sono tornato alla Roma erano 7-8 anni che faceva il presidente, era migliorato”.

Il primo gol.
“Contro la Juventus, vincemmo 2-1, loro sbagliarono due rigori. Ho segnato su corner, sotto la Curva Sud. Un debutto migliore era impensabile, è stato il massimo. Il sabato in cui provammo le palle ferme, Mazzone mi faceva andare sul primo palo e io volevo andare sul secondo, anche perché calciava Mihajlovic. Dopo una discussione mi disse di andare dove volevo, purché segnassi. E fu così, dopo il gol andai correndo verso di lui. Fu l’intelligenza dell’allenatore ad apportare qualcosa in più, fummo gratificati”.

Il derby del 1994.
“Rimarrà nella memoria di tutti, una vittoria molto particolare, sentita, schiacciante. C’era Daniel che festeggiava, con Cappioli, i tre che segnarono. Una delle partite più belle che ho dentro di me. Il mio rapporto con Fonseca era particolare, eravamo due poli opposti ma molto amici. Andavamo molto d’accordo, stavamo insieme anche in camera. Vedevo più lui di mia moglie, stavamo sempre in ritiro. C’è stato feeling dall’inizio fuori e dentro il campo, ci completavamo alla grande. Abbiamo fatto grandi cose e dato tanto alla squadra”.

Mazzone.
“Persona straordinaria, gli voglio molto bene. Mi coccolava tanto, come un papà. Per tutta la sua carriera avrebbe meritato di vincere almeno una coppa con la Roma, lui era tifosissimo, sentiva questa sfida. Felice di essere stato allenato da lui e di averlo conosciuto. Con lui il giorno della partita era impossibile parlare. Il martedì quando si perdeva era micidiale, faceva morire dalle risate. All’inizio facevo fatica, segnavo poco, lui uno per uno ci martellava. Mi disse di non potermi dire nulla, che ero permaloso, ma di darmi una mossa e di cominciare a segnare”.

Due gol con Inter e Sampdoria.
“Con l’Inter feci una tripletta e vincemmo 3-1. La palla passò sotto la barriera, il sabato parlando col mister notammo che la barriera dell’Inter saltava, Mazzone mi disse di provare, ebbi la punizione giusta, me la sentii e andò tutto bene. Un gol importante, ci aprì la strada per la vittoria. Contro la Sampdoria fu un rigore per un’altra tripletta, calciavo o a destra del portiere forte, ho sbagliato pochissimi rigori così, o con l’interno sull’altro palo, riuscendo a mantenere la palla lontano dal portiere”.

Il gol di Giannini con lo Slavia Praga.
“Fino a quel momento era una partita eccezionale, stavamo passando un turno molto complicato, perdemmo 2-0 fuori casa. A un minuto dalla fine riuscirono a segnare e ci hanno eliminato. Una grandissima delusione, tenevamo tanto a fare bene in quella coppa, andare fuori fu una grande delusione. Giannini era un ottimo capitano, aveva grande personalità e umanità, era un giocatore straordinario, aveva tempi di gioco straordinari. È stato il capitano quando sono arrivato, per la storia della Roma è stato un giocatore importante. Ho avuto la fortuna di poter tornare e vincere lo scudetto, Giannini meritava di essere quell’anno nella Roma, non so se giocasse ancora, ma aveva dato tanto e raccolto poco”.

Carlos Bianchi.
“Rapporto che non ho mai avuto. Ero argentino e capitano, teoricamente doveva esserci feeling. Mise molta distanza, arrivava in una piazza che non conosceva, veniva dall’Argentina ma non conosceva il campionato italiano. Avendo la fortuna di avere in squadra giocatori del tuo paese, avrebbe potuto sfruttarla e chiedermi qualche consiglio, lui ha pagato molto la gestione sbagliata dei rapporti avuti con tutti. È stato l’unico allenatore esonerato da Sensi, quando si esonera un allenatore è un fallimento, vuol dire che la squadra non sta facendo bene è colpa di tutti”.

Con Totti.
“Era il secondo anno che ero a Roma. Giocai molto con lui, Fonseca spesso stava fuori. Si vedeva che era diverso, che sarebbe diventato un campione assoluto. Una persona straordinaria, sarò stato un suo punto di riferimento. Avere un attaccante  esperto, che aiuta, è importante. Ma ho fatto tantissimi gol perché lui mi ha agevolato con passaggi straordinari, purtroppo non abbiamo giocato tantissimo insieme, se avessi giocato 6-7 anni insieme a Francesco, avrei raddoppiato i gol fatti con la Roma”.

Zeman.
“Uno dei mister con i quali ho avuto più rapporti personali. Avevo un rapporto buono con lui, era un anno decisivo anche per me, anche per lui che veniva dalla Lazio. Abbiamo fatto all’inizio un ottimo lavoro, ci sono state delle problematiche, quel cambio in cui ho sbagliato e l’ho mandato a quel paese. Ha dato una mentalità vincente, ha la cultura del lavoro, è un allenatore che ha dato molto e ricevuto molto poco, non ha vinto quanto avrebbe meritato”.

La Coppa UEFA con il Parma.
“L’anno in cui lasciai la Roma per il Parma. Una squadra fortissima, vincemmo le due coppe e arrivammo terzi perché sbagliammo le ultime gare, potevamo anche vincere il campionato. Mi sono tolto soddisfazioni personali, avrei voluto vincere queste coppe con la Roma, ma in quel periodo non c’era possibilità. Ci fu la chance di andare a Parma e di fare gli ultimi anni della carriera per vincere cose importanti. Un cambio sofferto, ma anche favorevole”.

Con l’Argentina.
“Inaugurazione di Italia ‘90, la mia prima nel mondiale. Gara da dimenticare, ma fu un onore e un privilegio essere nei titolari. Erano i campioni del 1986 con due soli nuovi, essere uno di quei due fu un orgoglio. Fui tradito dai nervi e dalla gioventù, potevo dare di più per aiutare la mia nazionale, fu una partita disastrosa per tutti. Pur con tante problematiche, arrivammo a disputare la finale. Essere vicecampioni non lo ricorda nessuno, ma meglio esserci che non esserci”.

I mondiali del 1994.
“La partita con la Grecia, con la squadra più forte in cui abbia mai giocato. Qui c’è Maradona, il nostro idolo, quando non ero professionista già lo vedevo fare cose allucinanti. È l’idolo di tutti gli argentini, ho avuto la fortuna di giocare con lui due mondiali e una Copa America, fu un lusso e un privilegio. Questo mondiale è stata la delusione più grande, avevamo un supersquadrone, ci hanno fregato, il doping di Maradona fu una cosa programmata, lui era pulito. Avremmo vinto, ma per chi era al potere non conveniva. Maradona era un artista, un atleta e un leader, era quello che riusciva a vincere le partite da solo, motivava tutti nel bene e condizionava in peggio gli avversari, è stato e sarà il più forte. Paragonare Messi o altri a lui è ingrato nei confronti di Messi, per arrivare a quei livelli ci vuole una magia che non ha”.

Con Batistuta a Firenze e a Roma.
“Abbiamo giocato insieme tanto. Sicuramente eravamo due giocatori che giocavamo nello stesso ruolo, ma potevamo giocare insieme. Abbiamo giocato insieme parecchio, eravamo due centravanti e non tutti gli allenatori hanno idea di giocare con due centravanti”.

Capello e Aldair.
“Aldair persona straordinaria e giocatore fuori dal normale, il difensore più forte che abbia visto giocare, sapeva fare tutto. Un idolo della tifoseria, un ragazzo d’oro con una carriera straordinaria,  tutto il bene che ha avuto lo ha guadagnato. Capello è un allenatore molto pragmatico, non diventa amico dei giocatori, anzi cerca di metterli tutti contro di lui e si uniscono, è una strategia forte. Un allenatore molto preparato, ha vinto tutto, c’è poco da dire. Quando è arrivato ero a fine carriera, non per questo non gli posso riconoscere che è stato un grande allenatore, un allenatore che ha fatto vincere lo scudetto va ricordato”.

Lo scudetto.
“Il mio ritorno nasce dal mio rapporto con Baldini, cercava di prendere Batistuta a tutti i costi. Ascoltava molto quello che gli dicevo, mi ha chiesto aiuto e l’ho aiutato. Ho insistito molto con Gabriel alla fine è venuto, alla Roma faceva comodo un attaccante di esperienza come me, anche se ho giocato poco. Ci siamo levati una grandissima soddisfazione, vincere lo scudetto con la Roma è particolare, lo auguro a tutti i giocatori che indossano questa maglia. Sono stato molto fortunato, è stata una festa durata tutta la notte, poi siamo andati a casa di Batistuta”.

La Supercoppa Italiana.
“Era giusto vincerla, anche per i tifosi. Quell’anno avremmo dovuto e potuto vincere lo scudetto più facilmente rispetto all’anno prima”.

Con la chitarra.
“Abbiamo fatto un concerto di beneficenza, è una grande passione, anche se ho poco talento. Complimenti a chi mi ha sopportato. È stato bello, era più difficile per me salire su un palcoscenico così piccolo che giocare una partita con 80mila persone, non era il mio habitat e sapevo di non avere le qualità”.

Partita di beneficenza, con Samuel.
“Gli abbiamo trovato casa vicino a casa mia, fu una strategia societaria. Un grandissimo difensore, bello ritrovare ex compagni in queste partite”.

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