Aziendalista, tattico e re a San Siro: ecco perché Suning ha scelto Luciano

Corriere Della Sera (L.Valdiserri) – Profilo aziendalista, duttilità tattica e un grande feeling con San Siro. Ecco come Luciano Spalletti ha convinto l’Inter ad affidargli la panchina, anche se il corteggiamento ad Antonio Conte è stato lunghissimo e, secondo qualcuno, non ancora accantonato. Alla parola «aziendalista» si dà spesso, nel calcio italiano, una connotazione negativa. Sinonimo di «allenatore che accetta tutto». Spalletti in verità non è questo profilo di tecnico, ma ha acquisito l’esperienza necessaria per fare le proposte giuste ai suoi dirigenti, sapendo quando si può affondare il colpo e quando bisogna accontentarsi. All’Udinese lasciava molto fare ai talent scout di Pozzo. Alla Roma dei Sensi ha affrontato il blocco per due sessioni di mercato dopo il caso-Mexes. Allo Zenit ha fatto spendere un botto per giocatori normali (Danny, Hulk, Bruno Alves…) senza fare il salto di qualità internazionale. Alla Roma di Pallotta ha trovato una squadre forte, ma non è stato accontentato nell’ultimo mercato, quando aveva chiesto Rincon e Defrel.

Spalletti è stato molto aziendalista quando, a inizio stagione, ha detto che la partenza di Pjanic non era un problema, perché Paredes era più forte del bosniaco. Poi Miralem ha vinto (certo, non da solo) la Coppa Italia, lo scudetto e si giocherà il 3 giugno la finale di Champions League, mentre la Roma è stata eliminata nei preliminari dal Porto. Agli alti e bassi del mercato, Spalletti ha rimediato spesso con grandissime intuizioni tattiche: Pizarro regista davanti alla difesa, Totti falso nueve (il massimo), Perrotta e Nainggolan trequartisti atipici. Ha giocato con la difesa a 3, con quella a 4 e con quella «a 3 e mezzo» (Napoli-Roma di questo campionato), che ammette di aver copiato dalla Fiorentina di Paulo Sousa. È uno studioso, ma non un dogmatico. Gli piace il lavoro al video, sul campo e in palestra. In questo campionato ha vinto 4 partite su 4 contro Inter e Milan: alla Roma era successo solo nel 1954-1955. A San Siro ha vinto 3-1 contro i nerazzurri e 4-1 contro i rossoneri. Nel primo caso con un 3-4-1-2 e nel secondo con un 4-2-3-1.

Due lezioni di tattica che hanno conquistato anche l’ex presidentissimo del triplete, Massimo Moratti, che ai microfoni dell’emittente romana Rete Sport, lo ha incoronato: «Sarebbe il profilo ideale, è un uomo intelligente. Starebbe bene all’Inter». Poiché la perfezione non è di questo mondo, anche Spalletti ha i suoi difetti. Il ritratto perfetto gli è stato fatto da un giornalista che lo seguiva ai tempi dell’Udinese: «Tu gli dici: Luciano, che bella cravatta! Lui ti risponde: mi vuoi dire che non ti piace la giacca?». La caccia al fantasma è il suo hobby preferito e il caso-Totti (Spalletti passerà alla storia per averlo cacciato da Trigoria alla vigilia di Roma-Palermo del campionato scorso) ha spaccato in due la tifoseria, tipo Guelfi e Ghibellini. Assieme a Walter Sabatini può completare la coppia perfetta per far ripartire una squadra dal settimo posto. Ama le sfide. Certo, l’ideale sarebbe non vendergli Perisic, che ha tutte le caratteristiche del suo giocatore perfetto. Ma qui si torna all’aziendalismo. A Roma aveva legato la sua permanenza alla conquista di un trofeo, che non è arrivato. I più perfidi dicono che quest’anno ha alzato solo il Tapiro d’oro (17 marzo), ma i numeri rispondono per il tecnico: media punti da 2,27. Non è certo colpa sua se c’è la Juventus.

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