L’Espresso – La spia che voleva la Roma

La trattativa è cominciata a gennaio 2009, con la proposta di uno dei più rispettati giuristi italiani: Natalino Irti, ex presidente del Credito Italiano e titolare di uno studio affermatissimo. Tutto secondo le regole dell’alta finanza. Il professor Irti chiede all’avvocato dei Sensi di intavolare colloqui esclusivi per l’acquisto dell’intera società.

Spiega di agire per conto di un cliente molto noto nell’ambiente sportivo: l’agente Vinicio Fioranelli, attivo nel calciomercato di tutta Europa. Fioranelli è nato nelle Marche ma ha fatto fortuna in Svizzera, prima come ristoratore poi come rappresentante di giocatori. Da procuratore tratta nomi di buon livello – Karl-Heinz Riedle, Thomas Doll, Dejan Stankovic e Marcelo Salas – e si impone nella cerchia della Lazio da scudetto di Sergio Cragnotti. Sa che i Sensi devono vendere e che Unicredit vuole liberarsi il prima possibile della squadra. Dice di avere pronti 200 milioni di curo. Ma quando si tratta di scoprire le carte, invece di tirare fuori i quattrini fa entrare in scena un socio tedesco con un cognome da gotha: Volker Flick. Lo presenta come un discendente della dinastia dei magnati dell’acciaio, “parente di Mick e Muck, i due fratelli che possedevano la Mercedes, e che ha già 300 milioni di euro in caldo per chiudere il contratto. Non ci credete? Eccovi le coordinate telematiche del suo conto, controllate pure…”.

Ma gli advisor che hanno affiancato la proprietà non si fidano di quella certificazione elettronica. li vicedirettore di Medio-banca Maurizio Cereda vuole però andare avanti nella trattativa e organizza lunghe riunioni di avvocati tra Roma e Zurigo per concordare il pagamento: Fioranelli accetta di mettere 300 milioni di euro su un conto vincolato fino alla fumata definitiva. Dice a Mediobanca che è disposto a lasciare una quota simbolica delle azioni e la presidenza a Rosella Sensi, poi il giorno dopo ci ripensa: “I tifosi non la amano, preferisco fare a meno di lei». C’è un solo problema: i 300 milioni non si vedono. Mediobanca sollecita il bonifico concordato, ma Fioranelli si arrampica sugli specchi e prende tempo. Nemmeno i venditori vogliono staccare la spina, implorano almeno un segno di buona volontà: «Ci faccia parlare con la sua banca per trovare una soluzione…”.

Per due settimane lui si nega, lascia il telefono al figlio. 22 giugno, i banchieri danno l’ultimatum: altri tre giorni, poi salta tutto. Così avviene: il sogno si chiude con un breve comunicato ufficiale. Mediobanca però, ancora non sbatte la porta. Il vicedirettore centrale Cereda dichiara: “Ho avuto contatti con il Fioranelli fino alla domenica successiva, il 28 giugno; ho fatto presente che il discorso poteva essere ripreso qualora si realizzassero le condizioni…”. Quando scade l’ultimatum dei Sensi, i finanzieri del Nucleo centrale valutario si sono già fatti un’idea precisa su chi c’è dietro quella trattativa. Anzitutto Herr Flick. Non è parente della famiglia della Mercedes: risulta avere gestito malamente un negozio di mobili, con tanti debiti da venirgli vietato di emettere assegni. Poi si è fatto notare per una fantasiosa sequela di iniziative. Nel 2007 la Deutsche Hank lo ha sorpreso mentre cercava di fare un bonifico telematico da mezzo miliardo di euro. L’anno dopo viene beccato mentre propone al premier turco Erdogan un investimento da un miliardo di dollari. Operazioni sempre virtuali, che trovano una spiegazione quando le intercettazioni captano le conversazioni tra Fioranelli e un *** misterioso personaggio attivo tra Italia e Svizzera, uno che si fa chiamare “generale Bruni” o “generale Rivera“. Al telefono “il generale vanta rapporti con I’intelligence americana e araba, nonché entrature nelle principali banche del pianeta, incluso lo lor del Vaticano“.

Per gli investigatori è una vecchia conoscenza: si tratta di Elio Ciolini. Un nome che ha segnato la storia delle trame italiane. Nel 1982 è nella stessa prigione ginevrina di Licio Gelli e parla di una pista internazionale per la strage di Bologna, indicando una misteriosa loggia massonica di Montecarlo. Per i magistrati è un depistaggio, con oscuri mandanti che un vero generale del Sismi identifica proprio nella P2. Dieci anni esatti dopo, mentre la Prima Repubblica viene abbattuta dalle bombe di mafia, il solito Ciolini evoca un golpe per destabilizzare il Paese. Le sue elucubrazioni trovano ascolto al ministero dell’Interno, scatenando la massima allerta. Nel 2001, alla vigilia delle elezioni Silvio Berlusconi parla ai giornalisti di un piano per assassinarlo. La questione campeggia sulle prime pagine. Poi spunta l’origine delle rivelazioni: sempre lui, sempre Ciolini.

Ascoltando i telefoni, gli investigatori si convincono che dietro Fioranelli ci sia l’uomo dei depistaggi. Lo definiscono “l’istigatore” della scalata alla Roma, che ora assume il profilo di una colossale operazione di riciclaggio. E con Ciolini c’è un altro asso di denari, sempre dietro le quinte. Si chiama Vittore Pascucci: è stato arrestato con un vecchio capo di Cosa nostra; ha avuto rapporti con lo storico cassiere della ‘ndrangheta lombarda; si è mosso assieme ai riciclatori del clan camorrista Galasso. Al suo fianco sono passate generazioni di faccendieri, da Pierluigi Torri a Flavio Carboni. Pascucci e Ciolini risorgono sempre dalla cenere delle loro imprese. Nel 2008 hanno in cassaforte una ventina di certificati di credito del governo americano “per un valore complessivo di 565 miliardi di dollari Usa”, come recita testualmente l’atto d’accusa. Carte che intendono trasformare in soldi veri. Puntando sulla Roma. Il piano viene smascherato nella primavera 2010 con l’arresto di Fioranelli e Ciolini, accusati di avere ingannato le autorità di Borsa. Il maestro delle trame scompare nel nulla. Invece l’agente dei campioni finisce in manette e patteggia una condanna a un anno e dieci mesi. E stato una vittima? L’ordine di cattura lo definisce un complice. Il documento ricostruisce un altro tentativo inedito di entrare in Serie A: nel 2008 lui voleva prendere il Bologna. E lo avrebbe fatto contando su un altro stock di titoli sospetti, questa volta brasiliani. In quella occasione Fioranelli ha preteso di inserire nella bozza di accordo una clausola specialissima: “Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte“.
L’Espresso – Raffaele Cantone, Gianluca Di Feo 

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti