Unai, quel passato che ha fatto Storia

Corriere Dello Sport (A.De Pauli) – Nonno portiere, per inciso il primo ad incassare un gol nell’ormai lunga storia della Liga. Padre anche lui portiere. E, per non farci mancare proprio nulla, pure uno zio calciatore. Unai Emery, basco di Hondarribia, si è visto, così, quasi obbligato a intraprendere la carriera del giocatore professionista. Un cammino piuttosto frustrante, compromesso in partenza da un serio infortunio al ginocchio, ai tempi della cantera della Real Sociedad, che alla fine gli ha permesso di assaporare appena 124 minuti di Primera Division, prima di affogare nei baratri di seconda e, poi, di terza serie iberiche. «Vedevo bene il gioco e avevo un buon sinistro, però mi mancavano forza e potenza», l’ammissione del diretto interessato. «La verità è che ero poco competitivo, perché non mi sentivo in grado di potermi affermare ad alti livelli». Un cruccio che l’ha accompagnato per tutta la carriera e che ha fatto sì che, una volta divenuto allenatore, abbia assunto un abito agonistico mentale che gli permettesse di diventare, come tecnico, l’esatto contrario di quello che era stato come giocatore. Ecco spiegato l‘atteggiamento da predatore che lo caratterizza, rendendolo un autentico animale da combattimento. Rispetto al fischio d’inizio, arriva con largo anticipo sul prato verde, che percorrere in lungo e in largo con fare ipnotico, annusando a pieni polmoni il profumo dell’erba appena tagliata. Una volta iniziata la gara, la metamorfosi. Frenetico fino all’inverosimile, si accoscia, si rialza, scatta, frena, dimena le braccia, si fossilizza in improbabili pose. Spettacolo nello spettacolo, e i risultati lo accompagnano.

ASCESA LAMPO – La vita di Emery cambia all’improvviso a cavallo del Capodanno del 2004. Da qualche tempo è ai box, sempre per colpa di quel maledetto ginocchio, e il presidente del Lorca, terza serie, decide di cacciare in fretta e furia l’allenatore Quique Yogue, per offrire la panchina all’abbacchiato Unai. Perché no? Il tempo di un girone di ritorno e la squadra passa dai bassifondi della classifica alla promozione nella serie cadetta. La rosa a disposizione lascia oggettivamente a desiderare, eppure riesce a lottare per la seconda promozione consecutiva fino all’ultima giornata della temporada successiva, anche se stavolta il finale non è lieto. L’ottimo lavoro gli regala la panchina dell’Almeria, a cui restituisce subito l’ebbrezza della Primera Division dopo 27 anni di vacche magre, il tutto attraverso un calcio fatto soprattutto d’intensità indiavolata, in entrambe le fasi, verticalità e valorizzazione delle grandi individualità. Ne traggono giovamento, il giovane pararigori Diego Alves, il solido Felipe Melo, lo scatenato Alvaro Negredo, anche se l’elemento più caratterizzante è, forse, la mezzapunta Fernando Soriano, incaricato della doppia missione di difendere e attaccare senza posa. Vittime importanti come Real, Villarreal e Siviglia, in uno storica Liga terminata all’ottavo posto, lo proiettano al timone del Valencia.

IL SODALIZIO – Estate del 2008. I vari David Villa, David Silva, Mata e compagnia iniziano a conoscere in prima persona il lavoro ossessivo del tecnico. «Ho lavorato con Unai tre anni, il quarto me ne sono andato perché avevo finito tutta la scorta di popcorn della città a furia di visionare video», il commento scanzonato dell’ex viola Joaquin. La dissestata economia del club porta al sacrificio annuale delle principali stelle, ma la squadra si afferma comunque per tre anni di fila come trionfatrice dell’altra Liga, alle spalle di Barça e Real. Tre terzi posti, il rammarico di nessun titolo conquistato, poi la fugace esperienza allo Spartak, prima della chiamata del Siviglia. Inizia il fruttuoso sodalizio con Monchi, che sceglie Emery proprio per la sua capacità di valorizzare giocatori che permettono di sollevare trofei, prima di ripartire lasciando colme le casse del club. Stakanovista, aperto anche a drastici cambi di rotta («Non muoio per un’idea, posso anche cambiarla»), sull’asse Fazio-Rakitic-Carlos Bacca costruisce la prima delle tre Europa League consecutive regalate al Siviglia. Poi il salto al Paris Saint Germain, il trauma del 6-1 di Champions al Camp Nou dopo il trionfale 4-0 del Parco dei Principi, ma anche le conquiste di Supercoppa di Francia e Coppa di Liga.

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