Testaccio e Olimpico. La Roma (ri)fa la storia

La Gazzetta dello Sport (A.Pugliese) – Herbert Burgess veniva da Manchester, ai «’alciatori» – to the footballers, visto che era inglese – spiegò che i ruoli in campo dovevano essere intercambiabili: non più una sola Roma, ma tante Roma. Guai a confondersi, oh: anche Luciano Spalletti ha preso la panchina giallorossa in corsa, anche lui ha fatto 13 come Burgess. Ma Luciano il vino lo produce, Bordocampo è l’etichetta toscana. L’altro il vino, toscano e non solo, lo beveva, vizietto che prima di diventare malattia faceva sorridere: una bottiglia sbucava spesso a… bordo campo, un bicchiere la sera prima della partita non mancava mai. L’Olimpico come Campo Testaccio, le 13 vittorie in casa di oggi come quelle a cavallo tra il 1929­-30 e il 1930-31, allenatore Burgess appunto, allenatore Luciano of course. Protagonisti? Tutti. Spalletti, nel brindisi dell’ultimo Natale a Trigoria, ha ringraziato i dipendenti del centro sportivo, la squadra invisibile. Burgess qualche grazie, per quel 13, lo sussurrò alla Sora Angelica, la moglie del custode di Testaccio, Zi’ Checco, che lavava le maglie dei calciatori, rammendava i calzini, cucinava quella pizza che oggi a Trigoria porta Francesco Totti, quando c’è da bagnare l’arrivo di un nuovo compagno, il Defrel di turno. Figura centrale, Angelica Martucci, se è vero che pure a lei finirono parte dei premi riservati ai giocatori.

PARALLELI – Musica vera, cari professori appatentati. L’Olimpico di oggi è un frigorifero riscaldato, ossimoro necessario per una squadra che gioca e vince nel silenzio. C’è chi si perde lo spettacolo, c’è chi lo spettacolo se lo gustava a prescindere. Ma sempre un 13 è uscito fuori. Oggi Fazio e compagni vanno a pranzo fuori e lo postano sui social network. Nella Roma di allora tremendamente social era un’altra…sora, Sora Emma, il ristorante di via dei Prefetti, il preferito dai calciatori di Testaccio e di un piccolo tifoso, Giulio Andreotti, che lì vicino abitava. Social sì, perché cosa c’era di più aggregante di una partitina fuori dal ristorante tra tifosi e calciatori? Storie quotidiane, analogie e differenze. Quella Roma iniziò a vincere in casa con la Triestina e finì il 16 novembre 1930 con il Casale. Questa è partita con il Torino e l’ultima musica l’ha ballata con il Cagliari. Quella Roma finì seconda, nel 1931, dopo una grande campionato. Seconda dietro la Juventus, incubo che Spalletti proverà a scacciare quest’anno. E magari sarà necessario fare 14 dopo il 13. Magari questa Roma scriverà pure lei un pezzo di storia. Quella era mitologica e al di sopra del minimo sospetto. Il nono di quei 13 successi, ultima giornata del 1929-­30, servì a salvare dalla retrocessione la Lazio: la Roma, senza nulla da chiedere al campionato, il 6 luglio 1930 ospita il Padova, in ballo con i biancocelesti per evitare la B. Che si fa? Nessuna squadra ce passerà, a Testaccio: 8­-0 al Padova, in campo a fine partita esultano pure alcuni dirigenti laziali. Ecco, qui meglio non cercare analogie.

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