Noi beata gioventù. Cresciuti col Mito

La Gazzetta dello Sport (A.Catapano) – Un paio di settimane fa, un venerdì sera, la «botta» è arrivata da Eataly, senza preavviso, scoprendomi completamente nudo. É successo mentre spiegavo a mia moglie, che di fatto ha smesso di essere juventina quando Del Piero fu messo alla porta, come immaginavo questo 28 maggio, cosa mi sarei aspettato per Lui, il nostro Capitano. Ad un certo punto, in un battito di ciglia, gli occhi si sono riempiti di lacrime, la vista si è offuscata. «Scusami», ho sussurrato a mia moglie. «Scusami», ho continuato a dirle nei giorni successivi, soprattutto negli ultimi, quando, improvvisamente, le urlavo «785 partite e 307 reti, ti rendi conto?» oppure le facevo ascoltare la voce di Alberto Mandolesi, il radiocronista dell’esordio in Serie A, che quel 28 marzo 1993, a Brescia, profeticamente disse: «Questo è un momento storico per la Roma».

Talmente storico che da allora io e i miei amici ­ Tommaso, Andrea, Federico, Luca, i compagni di liceo, che poi sono diventati compagni di stadio, quindi di vita­ il 28 marzo festeggiamo il Natale. Ogni anno ci chiamiamo e ci facciamo gli auguri, senza saltarne uno. Per quelli, come noi, nati alla fine degli anni Settanta, che della grande Roma di Ago, Falcao e Pruzzo hanno vissuto solo i colpi di coda; che sono cresciuti con i poster di Giannini e Voeller; che si sono esaltati per un rigore parato da Cervone o una doppietta di Desideri; che hanno tifato una Roma che regalava poche gioie ma non ti faceva vergognare mai; insomma, per quelli della mia generazione, Totti è stato una benedizione, un dono del Signore, un’Epifania. Perché nella nostra vita, che era ­ ammettiamolo ­ abbastanza grama, è entrato questo ragazzo, e da quel momento tutto è cambiato. E non solo perché avevamo finalmente un giovane grande talento cui affidare le nostre speranze di sogni, di coppe e di campioni, ma anche perché come suoi coetanei sentivamo di essergli affini, sentimentalmente e ideologicamente. Gli volevamo bene e credevamo in lui, forti di una speranza, che con il passare degli anni è diventata consapevolezza: Francesco non ci avrebbe mai abbandonato, noi saremmo cresciuti insieme. Io a Totti ho voluto bene come ad un fratello. Perciò, ho cercato di proteggerlo, sempre. Da tifoso e da giornalista. Tante, tantissime volte, ho litigato per lui. Al bar, allo stadio, in redazione. Anche in questi giorni. É incredibile che chi gli ha voluto bene in questi anni abbia dovuto impiegare tanto tempo e tante energie a proteggerlo. Mi chiedo, con enorme dispiacere, se davvero abbiamo meritato il suo talento e la sua fedeltà. Caro Francesco, stasera ti saluterò dal mio posto in Tevere, come ai vecchi tempi. Prenditi cura di te, io farò finta che questa partita non sia mai esistita, come Roma-Liverpool. E ogni anno, il 28 marzo, verrà Natale.

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