Il nodo dei bacini d’utenza: 200 milioni spaccano la Lega

La Gazzetta dello Sport (M.Iaria) – Nel bel mezzo del caos scoppiato in Lega sono arrivate, fresche fresche, le indagini demoscopiche commissionate annualmente a Doxa, Fleed e Nielsen, che fotografano il tifo in Italia e, soprattutto, misurano i cosiddetti bacini d’utenza, pomo della discordia tra grandi e piccole nell’infinita battaglia del grano. I dirigenti della componente che traina il calcio italiano dovrebbero preoccuparsi, piuttosto, delle statistiche che, nel documento di 26 pagine visionato in anteprima dalla Gazzetta, segnalano un calo di interesse del pallone da parte della gente negli indici-chiave del sistema: la percentuale di chi ha visto almeno una partita allo stadio è calata dal 27,1% del 2014 al 25,6% del 2017; coloro che hanno manifestato l’intenzione di rinnovare l’abbonamento alla pay tv sono scesi dal 72,8% del 2014 al 68,5% del 2017. Ma si sa che in Lega la cura del prodotto collettivo passa in secondo piano rispetto agli interessi di parte: altrimenti non saremmo giunti a questo punto.

ARTICOLO 19 – La rottura delle grandi, che l’altro ieri hanno abbandonato i lavori con un colpo di teatro di grande impatto mediatico, si è consumata sull’articolo 19 dello statuto da riformare, cioè sulla ripartizione dei proventi televisivi, senza dimenticare l’insofferenza galoppante verso il protagonismo di Claudio Lotito. Attualmente il miliardo netto di incasso viene suddiviso tra le 20 società in questo modo: 40% in parti uguali, 30% in base ai tifosi (25% bacini d’utenza e 5% popolazione), 30% secondo i risultati sportivi. Le medio-piccole hanno firmato un documento che, per quanto riguarda la governance, viene incontro alle richieste delle big ma che è ritenuto «inaccettabile» sul punto relativo all’articolo 19: la fetta in parti uguali crescerebbe dal 40% al 50%, quella dei tifosi scenderebbe dal 30% al 20%. I bacini d’utenza sono decisivi, non a caso Galliani ha rimarcato l’altro ieri che «le sei big rappresentano l’80% della tifoseria».

BACINI D’UTENZA – Per stabilire la distribuzione dei soldi viene applicato un criterio che mette assieme le ricerche degli istituti demoscopici e i dati Auditel, vale a dire un’elaborazione un tantino più equilibrata rispetto alla tradizionale mappa del tifo. Viene fuori che alla Juve spetta il 25,83%, al Milan il 15,12% , all’Inter il 14,57%, al Napoli il 10,43%, alla Roma il 7,78% e alla Fiorentina il 3,67%. La forbice è notevole con le altre: ci sono dieci società che non arrivano al 2%. Visto che parliamo di 200 milioni suddivisi in base a queste percentuali, si comprende bene la materia del contendere. Le big vedono come fumo negli occhi lo schema elaborato dalle medio-piccole: la riduzione del peso dei bacini d’utenza, fortemente polarizzati, a favore di una maggiore incidenza della fetta in parti uguali vorrebbe dire un travaso di parecchi milioni da un fronte all’altro. La Juve, che ora supera i 100 milioni complessivi, ne perderebbe circa 15, a cascata le altre; curiosamente, l’unica big a non rimetterci sarebbe la Fiorentina. Il rapporto tra prima e ultima, che attualmente è 4,5 a 1, diventerebbe 3 a 1. C’è poi il nodo del paracadute per le retrocesse, già oggi a 60 milioni: le piccole chiedono una percentuale del 6% sui ricavi, senza un tetto. In generale il contrasto è su due concezioni diverse del sistema: per le big va riconosciuto il loro peso economico e “sociale” in modo da renderle competitive a livello internazionale, per le piccole vanno applicati criteri più equi per una maggiore concorrenzialità all’interno.

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