Corriere dello Sport – Addio Petrini, da Rocco al lato oscuro del calcio

E’ morto ieri Carlo Petrini, aveva 64 anni, era malato da tempo. Aveva subìto cinque operazioni agli occhi che l’avevano ridotto alla cecità. Era ricoverato da sabato nel reparto di oncologia dell’ospedale di Lucca, la città dove si era stabilito dal 2003. Toscano di Monticiano, classe ’48, era cresciuto nelle giovanili del Genoa. La sua carriera va dal 1965, Lecce, al 1985, Rapallo Ruentes, dilettanti liguri. 112 le presenze in serie A, 19 le reti. 179 (con 41 gol) in serie B. Aveva giocato con 14 squadre. Le cose migliori a cavallo tra i ’60 e i ’70 con il Milan di Nereo Rocco, il Torino con cui vinse la Coppa Italia, il Catanzaro e la Roma di Nils Liedholm nel 1975-76. Nel 1980, quando era in forza al Bologna, venne squalificato per tre anni e sei mesi in seguito al calcioscommesse. L’amnistia dopo la vittoria al Mundial spagnolo lo rimise in gioco, ma il declino a quel punto fu inarrestabile. Ha scritto dieci libri sul marcio del calcio, tutti editi da Kaos Edizioni. Il primo, una autobiografia: «Nel fango del dio pallone». L’ultimo, «Lucianone da Monticiano», sui fatti e misfatti del suo concittadino Moggi.

Se questo è un calciatore. E’ stato suo malgrado il primo pentito del calcio italiano. Ci ha raccontato il lato oscuro, ci ha indicato il marcio che incrosta la pentola, ci ha svelato – nei suoi libri scomodi, controversi e in fondo disperati – un’unica verità: Babbo Natale non esiste, le luci dell’albero servono solo a stordirci e confonderci. Sincerità o convenienza? Lo dirà la storia. Carlo Petrini ci ha portato nei bassifondi miserabili, take a walk on the wild side , vieni a farti un giro nel vicolo buio del calcio. Ha denunciato il doping, le partite truccate, i pagamenti in nero, le scommesse, i giocatori corrotti e malati di sesso, gay eppure omofobi, i vizi privati, in sostanza la desolazione della tribù pallonara. In un mondo dove – anche quando si punta il dito – si procede spesso con la cautela dei vili, Petrini nei suoi libri ha fatto nomi e cognomi. (…)

Era un uomo pieno di tormenti. Controverso, sostanzialmente triste e solo. Minato nel fisico, anche per l’abuso di quelle sostanze dopanti che aveva assunto da calciatore, piegato dal calvario che stava vivendo ormai da anni, negli occhi non aveva più luce ma gli era rimasta l’ostinazione visionaria del maledetto che si sa sconfitto dalla vita, eppure continua la sua battaglia. Gli hanno dato del pazzo, del bugiardo, del disgraziato depresso e infelice, perciò inviperito. Il mondo del calcio è fatto così: se uno racconta qualcosa che imbarazza è un ingrato, perché sputa sul piatto dove ha mangiato. Carlo Petrini ha vissuto due vite. Nella prima è stato un calciatore di discreta notorietà negli anni ‘60 e ‘70: Genoa, Milan, Torino, Catanzaro, Bologna, Cesena, spesso tappe insudiciate dalla sua frenesia di bruciarsi, vendersi, sporcarsi. Era un centravanti dal fisico possente, gli batteva in petto il cuore dei poveri di spirito.

 

Anima nera. Nella seconda vita, con i suoi libri, ha alzato il tappeto di lorda ipocrisia del calcio, concentrandosi sul marciume. Il titolo più significativo della sua produzione letteraria è « Nel fango del dio pallone », scritto nel 2000: è un’autobiografia terribile, che sgomenta e fa male. Aveva cominciato a scrivere per espiare il senso di colpa. Tutti i percorsi di redenzione all’inizio sono segnati da un dolore. Anche il suo. Negli anni ‘90 era scappato in Francia per sfuggire agli usurai. Quando Diego, suo figlio diciannovenne sul letto di morte per un tumore, gli chiese di rivederlo, a Petrini mancarono il coraggio e la dignità di tornare per l’ultimo saluto.
Migliori sono i primi libri, dove scriveva ciò che aveva visto e vissuto sulla propria pelle. Ogni riga era una cicatrice, ogni pagina una ferita ancora aperta. Più vaghi e arruffati quelli successivi: alla scrittura lucida e asciutta, si era sostituita l’ansia di imbrattare di fango tutto, senza distinzione. Ha avuto il grande merito di aver indagato per primo sulla morte di Donato Denis Bergamini, il centrocampista ferrarese del Cosenza scomparso nel 1989. All’epoca dei fatti la magistratura chiuse in fretta e in furia la pratica, nonostante le ombre. Petrini non aveva creduto alla versione ufficiale e aveva ricostruito l’intera vicenda con dovizia di particolari. Il libro si chiama, non a caso, « Il calciatore suicidato ». E’ anche grazie a Petrini che la Procura di Castrovillari di recente ha riaperto l’inchiesta.

Se ne va il calciatore che nessuno avrebbe voluto essere, l’anima nera di un mondo talvolta ipocrita, lo specchio che riflette la strega anziché la principessa. Il tempo restituirà alla sua vita e ai suoi libri una verità storica. Ieri è morto Carlo Petrini, una voce fuori dal coro: cantava l’angoscia e la disperazione del circo, ci tranquillizza pensare che stonasse. Eppure: Biancaneve sposa il Principe, la Strega muore, i nani restano nani, ma è una verità che la mela fosse avvelenata.

Corriere dello Sport – Furio Zara

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