Quel cambiamento che non si vede

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Il Manifesto (P. Berdini) – La scorsa set­ti­mana il sin­daco di Roma, dato per spac­ciato, ha ribal­tato tutti i pro­no­stici e si è sal­vato — per ora — dalla sfi­du­cia por­tando a casa tre prov­ve­di­menti che con­fer­mano il domi­nio di un ristretto sistema di potere che non ammette dero­ghe: la guida della città spetta solo a loro e i ten­ta­tivi di far entrare nel gioco i biso­gni della peri­fe­ria abban­do­nata sono com­bat­tuti ad ogni costo. E pen­sare che sulle pagine di Repub­blica Marino aveva espresso parole di fuoco con­tro i poteri forti che lo vedono come un grave peri­colo. Il sin­daco era ed è l’espressione di quel gruppo di potere e alla prima occa­sione utile ha dismesso i panni barricaderi.

La tre giorni del sin­daco ini­zia mer­co­ledì con una irri­tuale visita al mini­stro delle infra­strut­ture per far­gli cono­scere il pro­getto del nuovo sta­dio della Roma. Afferma Marino: «Il pro­getto riqua­li­fica non solo Roma ma l’intero paese per­ché dimo­stra che siamo in grado di attrarre capi­tali stra­nieri». In Europa da decenni le società di cal­cio costrui­scono i pro­pri stadi senza il “regalo” di milioni di metri cubi di cemento come a Roma, in luo­ghi scelti dalle ammi­ni­stra­zioni pub­bli­che dove non è neces­sa­rio spen­dere denaro pub­blico. A Roma la società di James Pal­lotta ha scelto un’area iso­lata dalla città dove per costruire le infra­strut­ture fun­zio­nali all’operazione dovremo sbor­sare circa un miliardo. Con gli stessi soldi, sce­gliendo una diversa loca­liz­za­zione, si poteva alle­viare il degrado delle peri­fe­rie romane. E invece nulla.

Gio­vedì la festa è con­ti­nuata: il con­si­glio comu­nale ha votato la can­di­da­tura alle Olim­piadi 2024. Il fiume di soldi pub­blici che ser­virà per ridi­se­gnare la città verrà affi­dato al Comi­tato pro­mo­tore al cui ver­tice c’è un altro dei poteri forti che Marino dice di com­bat­tere: Gio­vanni Malagò, tra i pro­ta­go­ni­sti dell’indimenticata vicenda dei mon­diali di nuoto 2009 che ha lasciato ferite aperte in peri­fe­ria, con le piscine incom­piute di San Paolo, di Ostia e di Tor Ver­gata. Miliardi sper­pe­rati ai danni di una città spro­fon­data nel degrado nasco­sti die­tro un fiume di reto­rica. Dice Malagò: «Lo sport ha pre­valso su alcune logi­che poli­ti­che». Sem­bra di sen­tire Blat­ter. E sem­pre gio­vedì è andata in scena la com­me­dia degli inganni per­pe­trata ai danni del quar­tiere Fla­mi­nio. Qui il comune ha dato le chiavi del futuro a Cassa depo­siti e pre­stiti, impor­tante pedina del potere di Renzi. In cam­bio — annun­ciano i mes­sag­geri della disin­for­ma­zione — la città avrà lì il museo della Scienza. Non è vero: per rea­liz­zare il museo non c’è un soldo (provi il sin­daco a smen­tire) e la tra­sfor­ma­zione del Fla­mi­nio finirà con una colata di cemento per la feli­cità di Cdp.

Ci era­vamo illusi che a Roma la sta­gione delle grandi opere e della pri­va­tiz­za­zione del patri­mo­nio pub­blico fosse finita, ma Marino e la sua mag­gio­ranza hanno dimo­strato di non poter vol­tare pagina. Ma que­sta poli­tica scre­di­tata che ricorre pure al voto di Ale­manno si illude: l’artificio della reto­rica poteva andare bene fino ai tempi del bipo­la­ri­smo di ferro che con­trol­lava tutto. Oggi siamo in una fase nuova. Con­tro le tre opere scel­le­rate hanno votato 5 Stelle e Ric­cardo Magi, espo­nente di rag­grup­pa­menti civici. I primi sono in testa in tutti i son­daggi men­tre una parte impor­tante della società civile e della sini­stra si inter­roga su come con­ti­nuare a cre­dere in una città soli­dale e che guarda a un futuro di pic­coli risar­ci­menti sociali e non di grandi opere. Una città che riprenda in mano i par­chi abban­do­nati toglien­doli alle coo­pe­ra­tive cri­mi­nali. Una città in grado di dare un tetto a tutte le fami­glie e sal­vare ciò che resta dell’agro romano. Una città che cambi radi­cal­mente l’agenda poli­tica e mandi a casa i respon­sa­bili del degrado che la sta divo­rando. In attesa di altri arre­sti e della rela­zione del pre­fetto Gabrielli, è ora di aprire il dibat­tito sul futuro della città.

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