Il Romanista – Nati al “Pippa Nera”, da sempre ci fanno felici

Innanzitutto chiediamo scusa se qualcuno si offenderà. Ma il materiale che riguarda la Società Sportiva Lazio e che fa ridere e che fa da sempre felici i romanisti è talmente ampio che necessariamente quella che leggerete di seguito sarà una grossolona, superficiale, imperdonabile sintesi. Per evitare facili e poco eleganti battute si eviterà di citare Paolo Negro (sì, è difficile tanto più che adesso fa l’allenatore dello Zagarolo) e gli 11 anni di B (sì, meriterebbero una stelletta nera sul petto e il racconto giornata per giornata soprattutto di quelle che per poco non li portarono in C). Per cercare di mantenere una certa eleganza si potrebbe cominciare dal loro cavallo di battaglia, di giocare in trasferta, quello delle origini. Non nel senso che la Lazio ha un’origine di trasferta, visto che nel 1900 Piazza della Libertà era fuori dalle Mura di Roma, ma nel senso dell’ontologia, senza scomodare Heidegger o Carmelo Bene (gran tifoso di Paulo Roberto Falcao e della Roma campione 1983, che disconosceva la Lazio) e ricordare cosa disse nell’intervista concessa a Massimo Izzi, Giorgio Carpi giocatore della As Roma dal 1927 al 1936: «La As Roma è nata per un motivo umanitario, visto che la Lazio non faceva che perdere con tutte le squadre di Roma». D’altronde all’origine c’è sempre un si dice. Un sentito dire. Il mito è questo: un racconto. All’origine dell’origine c’è proprio una battuta. D’altronde effettivamente a sentire loro (magari anche Konko e Biava) quello che fa autenticamente “triste” il tifoso romanista è il racconto che il laziale fa della sua fantomatica primogenitura. E non è tanto che pure la scimmia è nata prima dell’uomo o Buttiglione prima di De Gregori. Non è nemmeno l’ovvia considerazione che la Roma non è la prima, ma l’unica squadra di Roma: è che è proprio una fregnaccia il fatto che la Lazio abbia portato il calcio a Roma.

SS LAZIO OTTAVA SQUADRA DELLA CAPITALE La prima partita di calcio a Roma documentata venne disputata il 18 settembre 1895, tra la Società Udinese di Scherma e la Società rodigiana di ginnastica, al Velodromo di Via Isonzo. C’erano ventimila persone, il Re e la Regina . A novembre del 1895 la Società Ginnastica Roma cominciò a giocare a calcio, prima squadra romana a farlo nella Capitale. Nel 1896 gli studenti del Regio Liceo Ginnasio “Ennio Quirino Visconti” fondarono il Football Club Roma. Contemporaneamente nasceva anche lo Sporting Club Roma. La Società Ginnastica Roma , il FC Roma e lo Sporting Club Roma nel maggio 1899 diedero vita a Villa Pamphili al primo campionato di calcio del Lazio. Tra il 1899 e il 1900 nacquero la Cristiana, la Veloce Club Podistico e la Forza e Coraggio. Nel 1901 nasce la Roman Cricket and Football Club società che, nel 1927, con l’Alba e la Fortitudo si fonde nella AS Roma. Il Roman gioca a calcio prima che vi cominciasse a giocare la SS Lazio nel 1902, nata nel 1900 come Podistica. Ed è per questo che la Lazio fu Lazio e non Roma. D’altronde se lo chiedeva Shakespeare: che cos’è un nome? Tutto e niente. Però se sei nato a Pippa Nera…

PIPPA NERA Ora, racconti del genere rischiano di apparire di parte, anche se si sta cercando di fare solo filologia. Ora, la maglietta esposta dai lazialissimi giocatori della Lazio contro il Bologna “Romanisti sempre tristi” merita un commento altrettanto lazialissimo vista la posta in palio. Da “Il lungo volo dell’Aquila” di Sergio Barbero edito dalla Graphot Editrice, pubblicato nel Novembre 1999. Questo è pagina 11: «I discorsi si concretizzarono il 9 Gennaio 1900. C’é già la Ginnastica Roma. Bigiarelli, rivolgendosi agli inseparabili amici, dice: “dobbiamo trovare qualcosa che racchiuda Roma e nel contempo rappresenti un’attività che supera le Mura della città stessa”. L’intraprendente ex sottoufficiale rimane un po’ sopra pensiero. Poi cercando di soffocare una sorta di eccitazione, esclama: “Propongo la denominazione di Società Podistica Lazio!”… “E Lazio sia !”, gridarono gli altri in coro. Il capannone Pippa Nera é scosso da un fragoroso applauso». Aggiungere commenti sarebbe delittuoso.

NOMEN OMEN Se un alto dirigente e socio della Podistica Lazio (poi anche presidente) si chiama Vaccaro può essere solo un caso, ma se il primo giocatore della Lazio a segnare in un derby si chiama Pastore le coincidenze cominciano ad essere già troppe. Capitò – per sbaglio – il 4 maggio 1930: Roma-Lazio 3-1, secondo derby. Il primo in assoluto fu giocato l’8 dicembre 1929 Lazio-Roma 0-1, trentamila spettatori, trentamila romanisti visto che la Roma nacque per avere una squadra col nome, col simbolo e coi colori di Roma. E’ effettivamente da lì che i romanisti sono diventati “tristi” e ancora oggi non hanno smesso di esserlo.

13 MARZO 2011 Oggi, un anno fa Francesco Totti segnava su punizione e su rigore il 2-0 alla Lazio vincendo il quinto derby ufficiale consecutivo. La Lazio ovviamente questa cosa non l’ha mai fatta. In fondo le feste fatte da loro per due di fila (ohhh!) fanno più lieto – quasi balsamico e lenitivo – il ricordo della recentissima cinquina al suo primo anno di vita. Ma qui si rischia di essere banali. In 112 anni di storia la Lazio ha vinto un derby in campionato con tre gol di scarto una sola volta (noi qua e là spargiamo un 5-0 e un 5- 1, un paio di 4-0 e triplette a go-go), fra l’altro nel dicembre 2006, a 106 anni da quella commovente nascita della Società Podistica Lazio nel locale Pippa Nera. Insomma, ci sono anniversari e anniversari.

11 MARZO 1973 Due giorni e trent’anni prima. Perché se c’è un’altra cosa che fa tristi i romanisti, è il fatto che i laziali “scelsero” la Curva Nord. E’ stato ricordato anche in uno striscione dell’ultimo derby dalla Sud: “11 marzo 1973, vinceste scegliendo la Nord”. Forse è il caso di specificare che si sta cercando di fare ironia, non tanto per non offendere nessuno, piuttosto perché qualcuno con le magliette celebrative di un pre 1-3 col Bologna, potrebbe non capire. Perché l’11 marzo nel 1973 a Roma – e quindi nel Mondo – è la data della Genesi del tifo. E’ domenica, derby, fino a quel momento il cuore caldo del tifo sia laziale, sia romanista vedeva e tifava la partita dalla Sud. Quella era la Curva prescelta da tutti (chi conosce l’Olimpico da sempre, sa da sempre anche il perché). Quella volta i tifosi della Roma se la presero invitando ad andarsene i pochi tifosi laziali che – ancor prima che i cancelli ufficialmente aperti – erano entrati per cercare loro di abitare questo Paradiso Terrestre. Ma dopo Adamo ed Eva toccò a loro essere cacciati, in un angoletto vicino alla Tevere. Anche a forza di mele (mature, erano cadute da sole dall’albero). Nel derby di ritorno i romanisti col pollice verde e le bandiere giallorosse presidiarono il Giardino sin dalle ore del mattino: da quel momento e per sempre la Curva Sud è stata la Curva Sud. Più che un punto cardinale, il punto fermo.

SIGNORI SI DIVENTA In questa storia di punti fermi ce ne sono tanti, uno di questi è la partecipazione della Lazio (come guest star) in tutti gli scandali del nostro calcio (dagli arresti di Pescara nell’80, alla retrocessione in C prima della penalizzazione e degli spareggi per non andarci dell’86, fino a Calciopoli e chissà…), ma farci ironia potrebbe veramente essere irrispettoso se si pensa anche a persone private della loro libertà (e su questo non si scherza mai). Si potrebbe citare qualcosa che però possa dare il senso del tutto, una sineddoche, mantenendo leggerezza e un semplice spirito di osservazione su quello che vuol dire essere laziali. Anche qui facendo riferimento a fonti nemiche, a niente popodimeno che “Una vita da Signori”, l’autobiografia di uno dei simboli più veri della Lazio (che non ha vinto nulla in carriera). Testuale, parlando del suo arrivo in biancoceleste o biancazzurro o bianco blu che sia (altra questione che fa seriamente tristi i romanisti: quali sono i colori della Lazio?). «C’era una certa differenza tra il tifoso della Lazio e quello della Roma. Il tifoso della Lazio andava all’Olimpico solo quando la squadra vinceva, quello della Roma andava all’Olimpico sempre, anche quando la Roma perdeva tre partite di fila. Nei momenti di difficoltà la gente biancoceleste tendeva a smarrirsi, quella giallorossa si univa, si legava ancora di più alla propria squadra». L’imperfetto è il tempo più perfetto che ci possa essere in questa descrizione: altrimenti chi avrebbe mai scommesso una lira su queste parole all’epoca? Così come Negro, e gli 11 anni di B, è troppo facile il ricordo – commovente – di Astutillo Malgioglio che disonorò in diretta sotto la Nord la maglia della Lazio. Ci sono altri simboli da scoprire. Anche per loro.

IL SIMBOLO: DAVID PLATT (!) Nel 1993 la SS Lazio nata nel locale Pippa Nera come Podistica nel 1900 e ottava società di calcio nella Capitale (anche se – a rigore – Piazza della Libertà all’epoca non era Roma) tornò a giocare in una coppa europea dopo la modica quantità di tempo di 16 anni. Verrà eliminato dal Boavista (!) di Ricky e Bobo non riuscendo quindi nell’impresa di eguagliare il suo record in competizioni Uefa che resisteva da ben 93 anni: gli ottavi di finale. Nel primo turno la SS Lazio (è una società italiana, ndr) incontrò i formidabili bulgari del Lokomotiv Plodvid, squadra conosciuta in Italia e nel Mondo almeno quanto la SS Lazio in Europa e nel Mondo: praticamente nulla. Al momento dei sorteggi, un dirigente del Lokomotiv commentò così l’abbinamento: «Della Lazio temo soprattutto Platt», che era appena passato alla Sampdoria. Questa è la presentazione che il Corriere della Sera fece del Lokomotiv Plodvid in vista dell’esordio europeo della SS Lazio, potete ancora consultarlo sull’archivio storico del corriere.it: «Nienti scudetti e niente coppe di Bulgaria nella storia del Lokomotiv Plovdiv, ma una tradizione di discrete figure (dieci presenze in Coppa Uefa, l’ anno scorso eliminato subito dall’ Auxerre). Stella della squadra l’ ex jugoslavo Radivoevic. Maglia bianconera, stadio da 28.000 posti. Scarse informazioni sul calcio italiano: il dirigente Setiro ha detto di rispettare nella Lazio… Platt». E’ anche per questo che la televisione bulgara nella sovrimpressione del risultato della partita trasmessa in diretta tv scrisse chiaramente Roma tra parentesi vicino al nome Lazio per cercare di darne un senso. Il 24 ottobre di quell’anno la Sud ne fece una Poesia: «…e pe’ fatte riconosce in Bulgaria c’hanno scritto Roma sulla didascalia». D’altronde se la Lazio fosse andata a giocare col simbolo che portava su alcune bandiere e nell’album panini del 1964, cioè con la Ciociara, come la identificavi quella squadra dai greci colori come le olive e dai tifosi che esultano se prendono un gol?

NON CHIAMATELI LAZIALI, MA DIVERSAMENTE INTERISTI Lazio-Inter E’ il trionfo del “Non”, è l’apologia della negazione. E’ il trionfo di quella maglietta… Sempre tristi. Il laziale anti-romanista non lo è giustamente solo per scelta e giustamente per definizione, ma lo è proprio all’atto di nascita. Italo Foschi si rifiutò di partecipare all’ultima riunione fatta per coinvolgere anche la Lazio nella fusione dell’unica squadra possibile di Roma (la Roma è nata come idea, così come l’Italia era già Italia per Dante, Roma è stata l’idea di Roma da sempre) quando Vaccaro propose provocatoriamente il nome di Fortitudo-Lazio per accettare di parteciparvi. Questo è l’atto di nascita. Questo è nel dna. Le grandi soddisfazioni la Lazio se l’è tolte sempre per sottrazione, come derivati, brillando di luce riflessa. Persino i loro successi (che prima dell’avvento di Cragnotti erano stati 2 in 92 anni di storia) hanno questa genesi. La prima Coppa Italia del ’58 l’ha vinta Bernardini, lo scudetto del ’74 Maestrelli, il tricolore del 2000 Eriksson con Spinosi, Mihajolovic e la decisiva compartecipazione di Carletto Mazzone: tutti ex romanisti. Nessuno l’ha esaminato a fondo, e potrebbe essere l’ultima frontiera della psicanalisi, ma forse non c’è niente di strano e non è difficile comprendere perché in quel Lazio-Inter i laziali hanno esultato sinceramente e spassionatamente. Loro ontologicamente – dall’origine partiamo all’origine torniamo, polvere siamo e polvere torniamo – sono romanisti mancati. Loro soffrono e cercano di sottolineare l’As di un nome che si impone di per sé con quattro lettere e come un amore, un lungo brivido in fondo al cuore: Roma. Per questo si sono inventati la storpiatura Riomma (ma che vor dì?). Perché in fondo sanno che – vinca o perda – è un cortocircuito scrivere o strillare Roma m…. Un romanista non lo scriverà o non lo dirà mai, altrimenti sì, diventerebbe triste (anche il suo tifare contro è sempre – letteralmente – una questione d’AMOR). Per chiudere ci vuole un pizzico di buonumore.
Il Romanista – Tonino Cagnucci

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