Un pentito di camorra: Hamsik aveva già parlato con Genny ‘a carogna

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Non se l’è sicuramente ricordato, il capitano del Napoli Marek Hamsik, quel verbale del pentito Salvatore Russomagno, quando è andato a parlottare con Genny ‘a carogna, il capo della Curva A, prima del fischio d’inizio della finale di Coppa Italia. E come avrebbe potuto, d’altronde, nell’inferno in cui era precipitato: un tifoso napoletano ferito da un colpo di pistola e lo stadio Olimpico pronto a esplodere come i petardi che continuavano a piovere dagli spalti.

Eppure, Hamsik e Gennaro De Tommaso si erano già incontrati nei racconti di un collaboratore di giustizia chiamato, in aula, a spiegare com’è che i giocatori azzurri erano finiti in una spirale di episodi di microcriminalità dilagante con furti e razzie di ogni tipo.
«Alcune rapine ai danni di Lavezzi, Hamsik o Cavani – aveva raccontato Russomagno – sono state consumate dai Mastiffs per punirli. Bisognava colpire quei calciatori che avevano rifiutato di partecipare a inaugurazioni di club o altri eventi organizzati dai tifosi». Insomma, vendette trasversali per quanti «rispondevano negativamente alle loro richieste».

E De Tommaso che c’entra? «I Mastiffs sono spietatissimi, il loro capo è conosciuto come la “carogna”, ha lui in mano il potere». Difficile, dunque, pensare che Genny non sapesse nulla dei colpi. Forse anche di quello al giovane centrocampista slovacco che sabato sera ha condotto con lui una specie di trattativa attorniato da agenti della Digos e fotografi. Ma forse, Marek, quel verbale non sa nemmeno che esiste.
Esiste, invece, ed è sempre più invasiva, la capacità di infiltrazione della camorra nei settori vulnerabili del mondo pallonaro. Non è solo Russomagno a parlarne. Tra i primi a fare luce su questo fenomeno c’è un altro collaboratore di giustizia, un pezzo da novanta dello scacchiere criminale partenopeo: Maurizio Prestieri, ex narcotrafficante di Scampia e Secondigliano.

«Il tifo organizzato è sempre espressione della criminalità organizzata e ciò è testimoniato dalla indicazione degli striscioni: lo striscione “Masseria Cardone” è relativo al clan Licciardi, lo striscione “Teste matte” è relativo ad un clan dei Quartieri Spagnoli. I “fedayn” sono stati sempre i più aggressivi e rissosi. Il gruppo “Mastiffs” – ha raccontato a verbale Prestieri – mi risulta essere affiliato ai Licciardi e detto dato è confermato dal simbolo di questo gruppo, la testa di un cane, simbolo uguale a quello che hanno tatuato quasi tutti i giovani della Masseria Cardone». Non un cane qualunque, ma un mastino.
Figlio di un affiliato al clan Misso del rione Sanità, Genny ‘a carogna spunta un po’ ovunque nelle informative sui mazzieri da stadio.

«Ma fammi capire una cosa, ma tu hai bisogno del consenso della “carogna” quando devi picchiare qualcuno? Devi aspettare quelli della curva per andare a picchiare? Tu – si legge in una intercettazione tra un capo tifoso della curva B e un suo “picchiatore” – stai rispettando troppo questo movimento… ma vi ho detto di non uscire stasera e di non andare a prendere questi qua? Avete sentito queste parole dalla mia bocca?».

Ecco: ‘a carogna faceva (e fa) paura agli stessi ultras più scalmanati.
I fatti di sabato sera l’hanno solo fatto conoscere al grande pubblico regalandogli visibilità planetaria. Un po’ come Daniele De Santis, il tifoso romanista arrestato per tentato omicidio: sarebbe stato lui, secondo gli accertamenti della Digos della Capitale, a premere il grilletto contro un gruppetto di tifosi azzurri, in via Tor di Quinto, dopo averli provocati con un lancio di fumogeni ferendone uno in modo gravissimo. Come De Tommaso, anche De Santis è uno dei «malacarne» delle gradinate: nella curva Sud dell’Olimpico era noto col soprannome di «Gastone». Tifosissimo della «Magica», nel 2004, insieme ad altri supporters giallorossi invase il campo per intimare a capitan Totti di sospendere il derby perché si era sparsa la voce (falsa) della morte di un bimbo investito dalla camionetta della polizia. Arrestato, prescritto e assolto in numerose inchieste sul «tifo malato» (tra cui quella sul presunto ricatto all’allora presidente della Roma, Franco Sensi, costretto a regalare sostanziosi pacchetti di biglietti omaggio ai gruppi organizzati), De Santis è ora in stato di fermo in ospedale. Così come il giovane tifoso napoletano Ciro Esposito, accusato di rissa. Il primo ha sparato. Il secondo è stato colpito, e lotta tra la vita e la morte.

Il Sole24Ore

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