Fazio e Jesus, Roma di ferro

Corriere dello Sport (R.Maida) – D’accordo, la Roma di questi tempi non è la squadra più efficace del mondo nell’area di rigore avversaria. Ma come ignorare il rendimento della difesa, che è la meno battuta della Serie A insieme con Inter e Napoli (10 gol subiti) e contemplando anche la Champions ha tenuto la porta immacolata 11 volte su 21? Di Francesco ha lavorato molto sulla fase difensiva, sin dall’estate, insistendo sull’aggressività, sull’idea di attaccare i portatori di palla nella propria metà campo, secondo una filosofia abbastanza intuitiva: più sei lontano dalla tua porta, più possibilità hai di difenderla. Ma il merito è stato anche dei singoli giocatori, dei singoli difensori che si sono applicati, accettando il rischio di sfidare gli attaccanti senza spingere il baricentro verso il basso. E se su Manolas Di Francesco faceva affidamento dal primo giorno della tournée americana, avendo verificato che il giocatore aveva deciso di riconquistare la Roma dopo il sorprendente no allo Zenit, il rendimento di Fazio e Juan Jesus ha superato le più rosee previsioni dell’allenatore e della società. Ormai la Roma ha tre titolari per due posti, con il messicano Moreno molto più indietro a dispetto di uno score di tutto rispetto: due partite da titolare, zero gol al passivo per Alisson.

IL BRASILIANO Soprattutto Juan Jesus si è riabilitato in fretta. Sfruttando rispetto ai compagni di reparto il vantaggio di assimilare gli insegnamenti del nuovo tecnico già dalla prima fase della preparazione, nel ritiro di Pinzolo, è partito con l’idea di cancellare i fischi della prima stagione romanista senza sentirsi mai di troppo all’interno della rosa: «Io lavoro per giocare sempre, penso di poterlo fare perché ho ancora tanti anni di carriera davanti a me, poi deciderà Di Francesco» diceva in estate. Sembravano frasi buttate là, nella banalità delle buone intenzioni, invece il suo era un vero manifesto programmatico. Tant’è che alla prima giornata di campionato, a Bergamo, è stato schierato titolare e ha giocato una grande partita. Da lì in poi ha preso fiducia, senza mai commettere quegli errori vistosi della prima stagione romanisti, alternando momenti di protagonismo ad altri di panchina, ma rimanendo comunque sempre coinvolto nella squadra: in campionato ha giocato più partite (11 a 9) e più minuti di Manolas (871 a 799).

L’ARGENTINO – Il più utilizzato dei tre alla fine è stato Federico Fazio, che per onorare il soprannome meritato a Roma di Comandante ha guidato con grande coraggio la difesa: ha già toccato quota 1.090 minuti in questa edizione della Serie A, smentendo le obiezioni preventive a un adattamento alla difesa a quattro che lui per primo aveva cercato di smantellare. «Per me non fa alcuna differenza il sistema di gioco: posso giocare indifferentemente con uno o due difensori affianco». Era davvero così. E Monchi, che pure lo aveva venduto al Tottenham da direttore sportivo del Siviglia, non ha faticato a riconoscerglielo in termini pratici, rinnovandogli il contratto fino al 2020. Nel frattempo, grazie alle performance con la Roma, di Fazio si sono ricordati anche in Argentina dove il ct Sampaoli lo ha richiamato in Nazionale. Due giorni fa in un’intervista un illustre connazionale che ha vinto con la Roma, Gabriel Omar Batistuta, ha parlato di lui in termini entusiastici: segno che nessuno dubita più delle sue qualità.

PADRONI – E se la Roma ha scoperto la democrazia dei centrali difensivi, con gerarchie volatili, la situazione sulle fasce è molto diversa. Florenzi a destra e Kolarov a sinistra sono ormai i titolari indiscussi. Per i brasiliani in panchina, Bruno Peres ed Emerson, sarà molto difficile scalzarli. Almeno finché la condizione atletica li sorreggerà.

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