De Rossi: “Roma, casa del futuro”

salisburgo-roma-alberto de rossi0

Il Corriere dello Sport (F.M.Splendore) – Alberto De Rossi e il terzo scudetto con la Primavera. Alberto De Rossi e il sesto trofeo con la Roma. Alberto De Rossi e i tanti ragazzi passati per le sue mani e finiti in serie A o in serie B. Alberto De Rossi e Trigoria che è come una casa. Alberto e Daniele De Rossi. C’è tutto in questa partita di 90 minuti che è una chiacchierata nella Sala Champions del Centro Sportivo Bernardini con il tecnico tricampione d’Italia.

Quando ha temuto di potersi vedere sfilare lo scudetto davanti agli occhi?
«Temuto forse mai. Ma certo, al rigore sbagliato da Marchizza, qualche brutto pensiero mi è passato per la testa. La forza di questa squadra è stata proprio quella di attraversare le difficoltà individuali e collettive con grande maturità. Penso al 2-2 e al 3-2 in favore dell’Inter costruito tra la fine dei tempi regolamentari e l’inizio dei supplementari. Qualsiasi squadra avrebbe detto… “vabbè, è finita”. Noi ci siamo presi il 3-3 e abbiamo vinto ai rigori».

I rigori, la chiave di queste finali: ne avete realizzati 12 su 13.
«Ci alleniamo sui rigori, tanto. Facciamo arrabbiare anche il giardiniere perché il dischetto lo scaviamo. Io credo a questa cosa, molto. Non la do per scontata. Come non voglio che i giocatori abbiano un solo modo di calciare i rigori. Nell’epoca dei video si studia tutto. E io in Primavera lavoro anche sui rigori».

Tre scudetti, tre modi di giocare, tre squadre diverse. E, possiamo dirlo per le prime due, tanti ragazzi tra la serie A e B.
«Non è così scontato che vincere significhi arrivare in serie A e B. Questo puoi sperare di ottenerlo se lavori come noi vogliamo fare, a 360 gradi: quindi parte tecnica, magari più residuale, parte tattica, sicuramente più massiccia. E poi l’allenamento della mentalità vincente. Alla Roma facciamo così, è un nostro vanto. Semmai bisognerebbe chiedersi come mai certi ragazzi fanno un percorso e poi magari non arrivano».

Lo scudetto del 2005. Quello di Okaka, Cerci, Curci…
«Il primo e forse quello in cui c’era la consapevolezza maggiore di poter fare risultato dopo il bel campionato disputato. Quella Roma giocava con il 4-4-2. I primi anni siamo partiti con quel modulo» Lo scudetto del 2011. «Lo scudetto del 4-3-3 che poi era un 4-2-3-1. Nel 2011… lo abbiamo fatto strano: Viviani era l’unico nel ruolo giusto tra i 2 davanti alla difesa, e poi Ciciretti e Florenzi dovevano coordinarsi. Perché Ciciretti era trequartista e Florenzi era mezzala, non era un secondo davanti alla difesa. Alla fine, a vederla bene, era un 4-1-4-1. C’erano tanti ragazzi poi diventati campioni in quella squadra (Florenzi, Viviani, Caprari, Verre… ndr). Eppure è stato il più inatteso perché giocavamo due anni sotto età».

E questo scudetto?
«E’ quello che ti rimane più addosso. Siamo partiti con problemi di organico, poi il direttore ci ha messo le ciliegine, Nura e Sadiq. Abbiamo scelto questo 4-3-1-2 che costringeva le squadre a stringerci per intercettare il fraseggio tra le linee e lì noi allargavamo il gioco e partiva Nura…».

Certo Nura lo avete avuto poco.
«Gli ho dedicato lo scudetto. Nura è straordinario. Ma non solo per la velocità, per i tempi di inserimento che ha: favolosi. Questi, abbinati alla velocità, lo rendono devastante».

C’è un grande lavoro dietro la Primavera.
«Mio personale e di tutto il gruppo, uno straordinario staff di 14 persone. Facciamo tutto ciò che è match analysis, lavoriamo con il gps sulle esercitazioni individuali dei giocatori. Non facciamo più nulla da… Primavera. E alla Roma devo dire che stiamo facendo esperienze straordinarie anche in tournée con i ragazzi. Io lavoro tutta la mattina, poi alleno. E poi… fatemi fare il nonno».

Togliamoci il dente: le squalifiche di Sadiq e Tumminello. Brutta pagina per un club e per un tecnico che curano questi aspetti e ottengono in tal senso riconoscimenti in tutta Italia.
«Io qui sono il capo e mi prendo onori e oneri. Quindi mi interrogo, devo farlo. Non doveva accadere il primo caso e meno che mai il secondo. Perché ha una dinamica differente dal primo e perché è il secondo in poco tempo. E alla Roma queste cose non succedono. Quando ci rivedremo, all’inizio della nuova stagione, ripartiremo proprio da qui, da questi errori gravi».

La domanda è d’obbligo e non è la prima volta che gliela faccio. Allenerà mai i grandi?
«No».

Insomma ha deciso di fare il Ferguson delle giovanili. (ride)
«Ma quale Ferguson, lasciamo stare Ferguson. Io ho cominciato con la Tor Tre Teste, poi sono arrivato alla Roma e ho fatto un percorso. Dagli Allievi ho cominciato a capire che era quella la mia strada. Ed eccoci qua. Servono certe caratteristiche per allenare i ragazzi: devi avere pazienza e devi saper aspettare il futuro».

Ferguson no. Però da decano, qualcosa su Fabio Grosso ce la può dire… Dicono sia molto bravo.
«Lo faccio volentieri, perché lo conoscevo da prima e perché abbiamo fatto il Master insieme e ho apprezzato la sua curiosità, il modo in cui da campione del mondo si poneva rispetto al lavoro di tecnico: con attenzione, serietà e voglia di migliorare mettendo da parte quel che era per poter diventare altro».

Le piacerebbe vedere Daniele allenatore un giorno?
«Non ci ho mai pensato, sarà che lo vedo ancora tanto giocatore».

Sa di essere stato vissuto come la strettoia di un imbuto: c’è De Rossi, non si passa, il tecnico della Primavera è una casella chiusa.
«Mah… Io posso dire che le squadre mi sono state date, non mi sono imposto, mi ha scelto la società ogni volta. E le parole del dg Baldissoni nei miei confronti mi inorgogliscono davvero tanto».

Quanto si sente vicina la società lavorando alla Roma?
«Tanto. Ricky Massara sta con noi, ci vive quotidianamente. E il direttore sportivo… che vi devo dire di Sabatini? Lui sente da sempre la Primavera come una sua creatura, io l’ho conosciuto vedendolo in prima fila alle partite. E Spalletti… Con lui il rapporto è straordinario e datato: lui e il suo staff vengono dal nostro mondo».

Quattro attaccanti da 40 gol. Ponce.
«Straordinario. Me lo ricordo la prima volta a Borisov, veniva dalla prima squadra e venne da noi per la Youth League: mi chiedeva le caratteristiche dei compagni, mi colpì l’atteggiamento, voleva stare dentro al gruppo subito. E’ un attaccante d’area. Ha presenza fisica». Sadiq. «Il più atipico: svaria per tutto l’arco dell’attacco. Una prima punta che si muove tanto».

Tumminello.
«Lui è prima punta come Ponce ma attacca molto la profondità».

Soleri.
«E’ quello che puoi collegare con tutti gli altri. Lui ha un percorso diverso, era centrocampista. Nel fraseggio è bravissimo e ti mette nella condizione di giocare bene».

Seconde squadre?
«Subito, anziché pensare a riformare la Primavera. Il livello tra le squadre di prima fascia si è molto alzato e per me è ora di misurarsi in maniera diversa».

Ma Daniele ha chiamato dopo la finale?
«Certo. Ci siamo sentiti, l’ha vista».

Avete parlato anche di come sono poco pubblicizzati i De Rossi a Roma? Lo ha sentito in conferenza con gli azzurri… (un altro sorriso)
«Daniele è giovane e può dire la verità con maggiore serenità. Non aggiungo altro».

Ora tocca a Under 17 e Under 15…
«Io sono legato a Toti perché abbiamo lavorato tanto insieme e so quanta passione e competenza mette. Poi ovviamente tifo anche per l’Under 15 di D’Andrea. Il tris sarebbe straordinario. Siamo la Roma e il futuro qui lo sappiamo costruire bene».

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti