Controllo totale e discontinuità. Con la vecchia FIGC Malagò si prende il pallone

La Gazzetta dello Sport (V.Piccioni) – Un commissario tira l’altro. E così il Coni si prende tutto il pallone: da ieri, e almeno per sei mesi, il segretario generale Roberto Fabbricini è al lavoro in Federcalcio, da oggi il presidente Giovanni Malagò si insedierà, con un’accoglienza tutta da scoprire, fra i padroni del calcio più importante, quello della serie A e del miliardo di euro di diritti tv. Il tutto con «la coscienza a posto», dice Malagò. L’uomo che ha azzeccato tutti i pronostici nelle ultime puntate dall’originale e sventurata sindrome di Stoccolma (anzi di Solna) del calcio italiano fatto fuori dai Mondiali. La Lega che non riesce a eleggere i dirigenti, la Federcalcio che la copia, l’auspicio non ascoltato di un rinvio delle elezioni: aveva proprio previsto tutto. E ora il numero uno dello sport italiano «riscuote». Si fa per dire perché la scommessa che ha deciso di giocare non è una partita di calcetto alla Canottieri Aniene. «Siamo nel diritto-dovere di procedere al commissariamento», dice illustrando le decisioni della giunta del Coni.

DISCONTINUITÀ Ma a questa situazione oggettiva, Malagò aggiunge qualcosa in più. La parola chiave è «discontinuità», condita con l’aggettivo «forte», cioè l’«assoluta terzietà rispetto al mondo del calcio». Intesa soprattutto come distanza dagli ultimi gruppi dirigenti della Figc e i loro dintorni. Perché in realtà, diventano sub commissari anche due ex calciatori: Alessandro Costacurta e (a sorpresa) Bernardo Corradi. Quello che conta però è il lancio del pallone in un’altra zona del campo, lontana dall’area di azione dell’ultima governance, con l’eccezione di Michele Uva, il direttore generale che oggi farà gli onori di casa nell’incontro di Fabbricini con i dipendenti della Figc. Significativo il fatto che le reazioni dal mondo del calcio siano pochissime. Soltanto Marcello Nicchi, il capo degli arbitri, parla di una scelta di «persone autorevoli e di garanzia».

ALTRO CHE SOFT Malagò ha piazzato l’asticella molto in alto. Il rischio è che il «molto» si traduca in «troppo». Fatto sta che con la politica in campagna elettorale e quindi con una relativa possibilità di incidere, il presidente del Coni ha deciso di scartare l’idea di un commissariamento soft prendendo il toro per le corna. Apparentemente è una traduzione fedele di quanto aveva e ha chiesto anche ieri il ministro dello sport Luca Lotti: con l’augurio di buon lavoro al commissario è arrivata anche la speranza di una «ripartenza da zero» del calcio italiano. Ma la sensazione – nonostante la Lega di Salvini e Giorgetti parli di un «Pd che mette le mani sul calcio» – è che tutta l’operazione sia stata condotta nelle stanze del Coni con grande autonomia e senza ascoltare troppi consigli da fuori.

BUFFET E AMICIZIE – Oltre ai giocatori, ecco una squadra di uomini di diritto con l’obiettivo di cambiare gli statuti per evitare nuove situazioni di stallo. «C’è un buffet apparecchiato pieno di tante cose da fare», dice Roberto Fabbricini. La prima è ricostruire «il discorso d’amore fra la nazionale e il Paese». E qui si capisce che Alessandro Costacurta, che approfitta dell’occasione per mandare in pensione il soprannome Billy, giocherà un ruolo importante anche nel gestire mediaticamente le aspettative nate dal nuovo scenario: «Ho giocato con 14 palloni d’oro, ma credo che questa sia la squadra più prestigiosa che ho mai avuto. Dovrò realizzare delle cose bellissime che sognavo di fare». Senza fretta, spiega però il segretario-commissario. Perché il rischio – Fabbricini non lo ignora – è quello di strafare, di bruciarsi, di pensare che le cose siano più facili di quanto presente e passato dicano. Un rischio che è più forte per Malagò, che giocherà più in trasferta del suo segretario. A Milano non troverà, almeno ai sussurri e grida degli ultimi giorni, tante pacche sulle spalle. «Ma io penso che verrò accolto bene. Si tratta di persone con cui c’è un’amicizia e una lunga frequentazione, in qualche caso pure di affetto». Sarà.

WHATSAPP – La verità è che c’era anche uno schema alternativo, almeno sulla carta: Malagò in Federcalcio, un giurista «sportivo» in Lega. O addirittura un doppio Malagò. Una forzatura pericolosa per il presidente del Coni: «Sarebbe stato sbagliato sotto il profilo dell’impegno e dell’esposizione». Pur con la consapevolezza che non si possono affrontare i problemi della Federcalcio se non si risolve quello della Lega di A». Un’idea che s’è però scontrata con il calendario. «Io non solo voglio, ma devo partire per le Olimpiadi. Ho già ricevuto tanti whatsapp di atleti che mi dicono: “Non è che sul più bello ci lasci?”. Ho anche la sessione del Cio, di cui non faccio parte, a cui sono invitato e sono coinvolto». Meglio PyeongChang di via Allegri.

POCA COREA – Cambiare i programmi sarebbe stata una dimostrazione di debolezza, un dire «prima il pallone e poi tutto il resto a grande distanza». Da qui il «sacrificio» di Fabbricini per un mandato «super condiviso», parole di Malagò. Mandato che obbliga l’ex velocista a cambiare biglietti e bagagli. Niente valigioni, può bastare un bel trolley: la Corea del neocommissario finirà presto. E, perdonateci la battuta scontata, visti i precedenti del calcio italiano con questa parolina, Nord o Sud fa lo stesso, meglio così.

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