C’era una volta il Thierry Henry di Valmontone

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Il Messaggero (M. Ferretti) – C’era una volta una Roma, allenata da Alberto De Rossi, che in attacco schierava tre ragazzi promettenti assai: Rosi, Simonetta e Cerci. Erano gli Allievi Nazionali della classe 1986-87, quelli che a Villa Santina, una frazione ad una decina di chilometri da Arta Terme, provincia di Udine, il 29 giugno del 2003 persero la finale del campionato di categoria contro il Milan di Ignazio Abate (2-0).

Cerci, il Thierry Henry di Valmontone, era la stella di quella squadra: sedici anni ancora da compiere, una velocità impressionante palla al piede oppure no. E una capoccia un po’ ribelle. Alessio, nato a Velletri solo perché a Valmontone non c’era l’ospedale, alla Roma è rimasto fino all’estate del 2006 poi, con l’esordio in serie A addirittura con Fabio Capello già in bacheca, ha cominciato a fare il giro d’Italia alla ricerca di se stesso: Brescia, Pisa e Atalanta prima del ritorno a Roma e poi della partenza definitiva, estate 2010, verso Firenze. La consacrazione al Torino, le voci di un suo ritorno costosissimo a Trigoria nella passata stagione, quindi il flop all’Atletico di Madrid e, infine, l’approdo al Milan, avversario domani della sua Roma. A Milanello Alessio vive da sopportato: Pippo Inzaghi non gli ha mai dato fiducia e probabilmente lui (ah, quella testa ribelle…) non ha fatto tutto quello che doveva fare per meritarsela. E così, con tutta probabilità, anche domani sera partirà dalla panchina. Ma, si sa, chi è causa del suo mal…

FILU DELLA MEMORIA –  Sembra assurdo,ma il Cerci devastante della passata stagione con la maglia granata, quello che era nel mirino di molti grandi club di tutta Europa è sparito, non esiste più. Lui, e raramente lo nega, sogna di poter tornare alla Roma ma domani sera, in un modo o in un altro, sarà solo un avversario della squadra del suo cuore. Un ex come Destro e come Mexes (Menez è squalificato), ma molto diverso da questi due compagni di squadra. Filu Mexes, ad esempio, al di là delle dichiarazioni di facciata, ha cancellato Roma, la Roma e i suoi (ex?) amici Totti e De Rossi. E l’ha ampiamente dimostrato nel recente passato, vedi Milan-Roma del maggio 2013 quando provocò platealmente il capitano, espulso dall’arbitro Rocchi (proprio lui…) per una gomitata (in realtà mai arrivata a bersaglio) al francese.

MATTIA CONTRO SE STESSO –  Destro merita un discorso a parte, perché il suo cartellino è ancora di proprietà della Roma. L’attaccante di Ascoli, con 5 reti è al terzo posto della classifica dei cannonieri stagionali della squadra giallorossa, e questo la dice lunga sulla bontà della scelta sua e della Roma in gennaio. Alla pari di Cerci, Mattia non ha il sorriso stampato sul volto, a Milano è poco più di un precario e Adriano Galliani, che in gennaio s’era travestito da postino pur di citofonare a Casa Destro all’Eur, ha già avvisato la Roma che a fine prestito non eserciterà il diritto di riscatto. Se domani punisse la Roma, insomma, Destro punirebbe anche se stesso, ma le regole del gioco vanno rispettate fino in fondo. Pensava, Mattia, di trovare l’Eldorado, ma in realtà ha trovato una specie di Inferno. E non ha fatto nulla, però, per ritagliarsi uno spazio meno infuocato. E probabilmente oggi ripensa con un filo di nostalgia a quell’abbraccio strappacapoccia con Garcia dopo il gol da metà campo al Verona.

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