La Gazzetta dello Sport (A.Catapano) – Ultimo stadio, forse ci siamo davvero arrivati. Perché alla fine di un’altra giornata di passione a Cinque stelle – iniziata con la bordata della deputata Lombardi («Bisogna annullare subito la delibera che stabilisce la pubblica utilità»), proseguita con la tirata d’orecchie di Grillo («Decidono la Giunta e i consiglieri, i parlamentari pensino al loro lavoro»), conclusa (si pensava) con l’annuncio semi-shock dell’assessore allo Sport (ex vicesindaco, comunque fedelissimo della Raggi) Daniele Frongia («L’unica certezza è che la delibera Marino andrà cambiata») – arriva un colpo durissimo, che, stavolta sì, mette davvero a repentaglio il buon esito del progetto Tor di Valle. «In quell’area lo stadio non si può fare».
IL DOCUMENTO – Non lo dice l’ex assessore all’Urbanistica Berdini, ma la Soprintendenza archeologica del Comune di Roma, che ieri ha comunicato a sindaca, Regione e società proprietaria del terreno, la Eurnova di Luca Parnasi, «di aver avviato il procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante del manufatto» e – sta scritto nel documento ufficiale – «il contestuale avvio del procedimento per la prescrizione di misure di tutela indiretta». Il «manufatto» è il celebre ippodromo, inaugurato nel 1959, un gioiello architettonico, in particolare la tribuna; le «prescrizioni di tutela indiretta», invece, le spiega il documento poco più avanti: «L’area dovrà essere lasciata libera da ogni opera in elevato – scrive il Soprintendente architetto Margherita Eichberg –, tranne che nella zona degli attuali manufatti, dove le altezze di eventuali opere non dovranno superare quella delle esistenti». Tradotto: dove non c’è nulla non si può costruire nulla; dove c’è la tribuna al massimo se ne può tirare su una uguale. Ergo, dove lo piazziamo lo stadio della Roma? Perché è proprio l’impianto calcistico, prima che tutto il resto, ad essere messo in discussione. Per intenderci: se ha ragione la Soprintendenza, nemmeno la versione di Berdini (stadio e poco altro nei limiti concessi dall’attuale piano regolatore) può passare. Altro che variante.
LO SCENARIO – È la pietra tombale? Piano. La vicenda non è limpida. A parte discutere delle ragioni per cui si è mossa la Soprintendenza (tutelare «la prospettiva del manufatto» e «il suo rapporto con il contesto di ambientamento»), c’è da chiedersi perché questo parere arrivi e venga diffuso solo ora, a pochi giorni dalla conclusione della Conferenza di servizi, a due anni e due mesi dall’approvazione della delibera di pubblica utilità e ad almeno tre dall’invio del primo studio di fattibilità. Un lungo arco temporale in cui i soggetti proponenti, Roma e costruttore, hanno tirato fuori complessivamente circa 60 milioni di euro. Cosa succederà ora? La Soprintendenza non lascia spazio a dubbi. «Il vincolo è ineludibile», dice il Mibact. Per questo, è probabile che la Conferenza prenderà atto dell’avvio della procedura e, conseguentemente, non darà parere favorevole al progetto. E pure se ignorasse la comunicazione della Soprintendenza, una volta conclusa la procedura non potrebbe non tenerne conto. Però, Roma e Parnasi non si arrendono. Spazi per l’ulteriore proroga di un mese? Sarebbe già qualcosa. Una causa multimilionaria? Chissà. Certo, arrivati a tanto, questa storiaccia fa venire qualche brutto pensiero e un atroce dubbio. Non è che il problema è Tor di Valle più che le torri? Non è che questo stadio si deve fare per forza da un’altra parte? E, infine: ma senza nuovo stadio che farà Pallotta, che ne sarà della Roma? Allegria.